Si è parlato molto di Gaza in modo anomalo, nel senso che ha occupato molto spazio mediatico non come il luogo del genocidio, dove sono stati uccisi oltre 70mila palestinesi e ne sono stati feriti oltre 125mila, ma come il futuro luogo di turismo di lusso sul Mediterraneo, “la riviera del Mediterraneo”. Allora cerco di illustrare in modo molto modesto cos’è e cosa rappresenta per il popolo palestinese questa striscia di terra.

Gaza, oltre alla sua posizione geografica, ha una importanza culturale, storica e religiosa. Sotto la sua sabbia è sepolto il secondo nonno del profeta Mohammed, Hashem Ben Abdel Manaf, per cui spesso è chiamata Gaza di Hashem. È caduta sotto l’occupazione dei Crociati e riconquistata da Saladino nel 1187, la battaglia di Hiettin. Ha avuto uno sviluppo e una crescita molto forte durante l’Impero Ottomano. Nel 1892 fu fondato il primo Consiglio comunale e durante la Prima guerra mondiale è caduta sotto l’occupazione britannica, diventando parte integrante del mandato britannico.

Dopo il primo conflitto arabo israeliano è stata amministrata dall’Egitto. Israele ha occupato Gaza nella “guerra dei sei giorni”. A seguito degli accordi di Oslo nel 1993 Gaza è sotto l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp).

Gaza ha rappresentato sin dall’antichità un modello di resistenza in quanto non si è mai rassegnata alle forze occupanti. Questa terra è indomabile, nessun esercito ha potuto dominarla.

La proposta del presidente Usa, Donald Trump, di deportare i cittadini di Gaza altrove (Giordania e Egitto e Arabia Saudita) e creare la “riviera Gaza” oltre ad essere indecente è impraticabile. Ci fa ricordare altri piani del secolo scorso. In primis, il piano di Ben Gurion (1956-1963): “Gli arabi non devono rimanere qui, farò tutto il possibile perché si spostino in uno Stato arabo”, questa la famosa frase pronunciata dall’allora primo primo ministro israeliano. La deportazione di massa della popolazione dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania fu abbandonata perché ci si rese conto della impossibilità di praticala sul terreno.

In secondo luogo, a ridosso della “guerra dei sei giorni”, il primo ministro Levi Eshkol (1963-1969) ha elaborato un progetto che prevedeva il pagamento in denaro ai cittadini di Gaza per convincerli di lasciare la Striscia. Ma il progetto aveva due elementi di debolezza: era troppo costoso e non ha trovato accoglienza da parte dei cittadini di Gaza.

In terzo luogo, il progetto elaborato da Shimon Peres negli anni ‘90 prevedeva un forte piano di investimento a Gaza in tre settori importanti – turismo, commercio, tecnologia – per migliorare le condizioni degli abitanti. Peres voleva trasformare Gaza in nuova Singapore del Medio Oriente. Siamo negli anni della firma degli accordi di pace tra Arafat e Rabin. Quest’ultimo fu ucciso dall’estrema destra israeliana, con la sua morte il processo di pace si è fermato, e con il ritorno del Likud al governo il progetto di Peres è stato abbandonato.

In quarto luogo, nel maggio 2024 e in piena attività bellica, Netanyahu ha presentato un progetto denominato “Gaza 2035” che prevedeva di creare una zona franca collegata alla città egiziana Al Arish a nord del Sinai, e alla città israeliana Sderot a sud di Israele. Il prolungamento della guerra e la mancata vittoria di Israele hanno fatto abbandonare il proposito.

Tutti questi progetti, come dice il detto popolare italiano, “fanno i conti senza l’oste”. Anche il piano Trump fallirà come gli altri, perché quella terra non è in vendita e nessuno andrà via di là, né volontario né con la forza.

Molti Stati, non solo arabi, hanno rifiutato questo piano, come anche il Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Hamas, l’Anp e tutte le fazioni palestinesi hanno avvertito la comunità internazionale del rischio di una nuova Nakba per il popolo palestinese.

Oltre ai suoi abitanti originari, Gaza ha accolto le due ondate di profughi palestinesi causate dalla Nakba nel 1947 e nel 1967, in un territorio lungo 43 chilometri e largo da 7 a 15 chilometri, per cui stiamo parlando di 360 km quadrati con circa 2 milioni e mezzo di persone prima del 7 ottobre 2023.

L’immagine dell’esodo che il mondo intero ha visto in diretta tv, con centinaia di migliaia di persone in cammino a piedi, spesso a piedi nudi, cariche di qualche oggetto personale, che stavano tornando alle loro case, diventate semplicemente macerie; le tantissime immagini di famiglie che hanno installato una tenda o steso una coperta sulle macerie delle loro case, dichiarando “siamo a casa nostra”; infine quell’immagine della bambina di qualche anno piena di felicità quando da sotto le macerie ha trovato la sua bambola: queste immagini devono fare riflettere tutti su cosa rappresenta il legame tra il palestinese e la sua terra.

Si parla di un’operazione immobiliare in cui il proprietario è palestinese, il venditore è israeliano, l’acquirente è statunitense, e chi paga è il primo. Assurdo! Attenzione: in Cisgiordania sta accadendo quanto è già accaduto a Gaza. I giornali israeliani parlano di “modello Gaza”. Nessuno può dire che non sa. Il silenzio è complicità.

(11 febbraio 2025)