Organizzato dalla Cgil Veneto, il 4 dicembre scorso si è tenuto un convegno sull’emergenza Pfas, con la partecipazione di Inca e Cgil nazionali e il contributo di Filctem regionale e di rappresentanti di Isde Veneto e Greenpeace Italia. Come noto, i Pfas sono un gruppo di sostanze chimiche artificiali considerate “inquinanti eterni”. Si degradano molto lentamente nell’ambiente, contaminando terreni, falde acquifere, acqua potabile, coltivazioni, alimenti, aria, e sono bioaccumulabili nel corpo umano, producendo danni certificati alla salute: tiroide, fegato, sistema immunitario, fertilità. Recentemente alcuni di loro sono stati classificati dallo Iarc come cangerogeni, i Pfoa, o possibili cangerogeni, i Pfos.
Per le loro proprietà di idrorepellenza e resistenza termica sono utilizzati in moltissimi settori industriali. La loro dispersione nel territorio è stata nel tempo ampia, diffusa e fortemente impattante. Recenti rapporti di indagine di Greenpeace Italia certificano una preoccupante presenza di questi inquinanti in fiumi, falde sotterranee e reti acquedottistiche di tutte le regioni italiane. Tra questi anche il Tfa, il più diffuso e abbondante, che a differenza degli altri Pfas non è neppure trattabile con i filtri a carboni attivi per la potabilizzazione delle acque.
In Veneto, a Trissino (Vicenza) l’azienda Miteni produceva queste sostanze e si è verificato uno dei più grandi inquinamenti ambientali a livello europeo. I filtri per mettere in sicurezza l’acqua potabile nei comuni della “zona rossa” della provincia di Vicenza, che devono essere continuamente sostituiti e rigenerati, costano più di un milione di euro all’anno, tutti scaricati sulle bollette degli utenti e sulla collettività.
In Italia la presenza dei Pfas nelle acque potabili non è ancora regolamentata; solo nel 2026 verrà recepita la Direttiva europea del 2020, che però fissa limiti considerati inadeguati dalle più recenti evidenze scientifiche e dalle Agenzie europee per la Sicurezza alimentare e per l’Ambiente, tanto è vero che diversi Stati europei, e gli Usa, hanno già adottato limiti molto più bassi.
La vicenda Pfas, quindi, non può essere considerata delimitata al solo Veneto o a un solo settore produttivo, ma va affrontata da tutta la Cgil con una visione omogenea e una prospettiva integrata dei provvedimenti e interventi necessari per tenere insieme messa in sicurezza di ambiente e territorio, tutela della salute di lavoratori e popolazione, e prospettiva occupazionale, costruendo un percorso di innovazione e riconversione produttiva.
La Cgil Veneto è impegnata a dare continuità all’iniziativa avviata da anni insieme alla Cgil di Vicenza, a partire dal presidio del processo in corso per i reati di disastro ambientale e inquinamento doloso imputati alle proprietà della Miteni spa succedutesi negli anni. Nel processo la Cgil di Vicenza si è costituita parte civile per l’attribuzione delle responsabilità, il riconoscimento dei danni subiti come sindacati, e perché venga sancito il principio “chi inquina paga”.
Contestualmente sta proseguendo, con tante associazioni e comitati territoriali, l’azione di rivendicazione, soprattutto nei confronti della Regione, per la continuità e l’ampliamento della sorveglianza sanitaria su lavoratori e popolazione, per il riconoscimento della malattia professionale per chi è stato esposto nella produzione, per la bonifica di terreni e falda acquifera sotto lo stabilimento e nelle aree circostanti, per i finanziamenti necessari a completare la realizzazione di nuove dorsali e tratte acquedottistiche per l’approvvigionamento di acqua potabile pulita in tutte le zone inquinate.
Dal convegno è emersa soprattutto la necessità improrogabile di regolamentare, in modo organico e adeguato alle più recenti evidenze scientifiche, i valori limite di queste sostanze altamente nocive in acque potabili, depuratori civili e industriali, discariche dei fanghi di scarto, e di programmare una radicale riconversione dei processi produttivi. Superando le resistenze delle tante lobby industriali, Confindustria in testa, che premono sulle istituzioni per non introdurre limiti più restrittivi e non vincolare le aziende a investimenti mirati in base al “principio di precauzione”.
Se è difficile che sia praticabile in tempi brevi una messa al bando di tutti i Pfas, come richiesto da diversi Paesi europei e da oltre 120 associazioni ambientaliste e di rappresentanza sociale, è sicuramente possibile un progressivo cambiamento. Ad esempio incentivando le aziende a rafforzare i sistemi di depurazione e riciclaggio, utilizzare materiali alternativi Pfas-free, investire nell’innovazione tecnologica, obbligando alla trasparenza sulle sostanze utilizzate.
La Cgil, con la contrattazione e l’iniziativa sindacale, deve promuovere precise scelte di politica industriale, utili anche alle aziende per non perdere quote di mercato nei confronti di chi sta già riconvertendo, necessarie per evitare crisi occupazionali, e adeguate ad una transizione governata a un nuovo modello di sviluppo, sostenibile sul piano ambientale e sociale.