Caro Valerio, in quasi venti anni sei stato la mia coscienza laica, come ti ho ripetuto tante volte. Nel nostro primo incontro, mettesti subito in chiaro la tua posizione: “Dobbiamo avere passioni per le persone, per le cose interessi”. Era un modo tutto laico, appunto, per mettere al centro la persona: cercare di fare le cose sul serio senza prenderle e, soprattutto, senza prendersi troppo sul serio.

Per tale ragione, pur essendo colleghi, si parlava poco di lavoro. Anzi, l’argomento con cui avevamo iniziato a parlare e con cui io avevo iniziato ad apprezzarti erano i figli, allora piccoli, cui il lavoro ci costringeva a dedicare poco tempo. Da lì si partì quasi invariabilmente per discutere di storia sindacale, che poi altro non è se non lotta di donne e di uomini in cerca di dignità quotidiana.

Mi avevi chiesto più volte di scrivere sulle vicende della componente socialista della Cgil, perché vi leggevi qualcosa di più di una semplice proiezione partitica. I tuoi studi ti avevano portato ad approfondire la storia di quelle schegge del mondo popolare refrattarie a un incasellamento politico, o a rigidità ideologiche che potevano appartenere al Pci.

L’ultima tua fatica, edita lo scorso anno per Editpress, ha un titolo emblematico a tale proposito, “Le barricate e il Palazzo. Pietro Nenni e il socialismo italiano nel dialogo con Gianni Bosio”, ed esprime la tua attenzione di storico e di cittadino per un universo sociale troppo spesso dimenticato. Ecco quindi la tua sensibilità per le fonti orali, confermata dalla tua vicinanza all’Istituto Ernesto De Martino “per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario”.

Nel movimento socialista, grazie all’acribia della tua ricerca storica, vedevi spezzoni di subalternità prendere vita a partire dalle contraddizioni sociali più drammatiche. Il tuo saggio “Viscere della terra, viscere della società: la scoperta del lavoro infantile nelle solfare siciliane”, pubblicato da “Studi storici” nel 2020, non si ferma a stagioni lontane. Ci getta violentemente, invece, sulle contraddizioni della globalizzazione capitalistica. Oggi i bambini delle miniere di litio quanto somigliano ai loro predecessori delle solfare!

Eppure mai hai ceduto ai populismi. Hai scritto pagine uniche sulla resocontazione delle attività delle Camere quale strumento di avvicinamento fra le istituzioni e le classi popolari: “Ognuno di noi – dicevi – ha una zia rimbambita che vuole sapere cosa sia stato deciso ieri in Parlamento e per questo legge il resoconto parlamentare”. E la zia rimbambita prese la veste colta ma non certo pedante del tuo saggio “La pubblicità dei lavori parlamentari dallo Statuto Albertino alla Costituzione repubblicana” ne “Le carte e la storia” del 2008.

Lo stesso approccio ha caratterizzato il tuo impegno nell’Anpi e nel suo periodico “Patria indipendente”: creare a partire dalla Resistenza un legame indissolubile fra masse e democrazia. In questa pedagogia civile, che hai vissuto con rigore e riservatezza, si sostanzia il “patriottismo repubblicano” o il “patriottismo della Costituzione” di cui tanto leggiamo.

Nel tuo percorso intellettuale e civile, ciò che mi ha più colpito e che a volte non riuscivo a comprendere e tanto meno a condividere è stata la tua fedeltà assoluta al dialogo, la tua fermezza irremovibile nell’avvicinarti alle ragioni dell’altro, il tuo rifiuto cocciuto di esercitare qualsiasi forma di autorità. Ricordo ad esempio che nel 2016, nelle settimane convulse del referendum costituzionale, la serietà della tua posizione non sfociò in intolleranza verso chi voleva sostenere le posizioni del governo.

Ti vedevo come quei socialisti dell’Ottocento chiamati ad animare le speranze degli sconfitti della Storia: un socialista mandato qui da quella generazione di inguaribili romantici che, nonostante tutto e tutti, non lasciano mai solo il movimento dei lavoratori. E così fra di noi capitava ciò che è capitato spesso nella storia della sinistra: da socialista finivi per scavalcare a sinistra la mia “autodisciplina togliattiana”, appresa da ragazzo nel Pci. Tu con il tuo ottimismo libertario e liberatorio, io con le mie prudenze che mi pareva d’essere un funzionario del Cominform.

Vorrà dire che quando mi verrà nostalgia di una politica che non c’è più, ti cercherò oltre la mia spalla sinistra. Buon cammino, amico mio!