Manifestazione nazionale a Milano lo scorso 12 aprile.

In quasi due anni dall’inizio del genocidio a Gaza, Milano è stata teatro di numerose manifestazioni a sostegno della Palestina, caratterizzate da una forte partecipazione popolare di persone e organizzazioni sia italiane che non.

L’Italia, purtroppo, non è stato uno di quei paesi che oggi può vantarsi di numeri eccezionali durante – quantomeno – le mobilitazioni nazionali che si sono svolte nell’ultimo anno e mezzo, ma sicuramente Milano ha dato un esempio di perseveranza. Ogni sabato per tutte le settimane dall’inizio dei massacri di civili a Gaza, un numero più o meno alto di manifestanti ha attraversato le vie della città, seguendo il carro delle organizzazioni palestinesi e vedendo uniti arabi, italiani, giovani e non, donne e uomini per la Palestina.

Come militante di un progetto politico nato a Milano, estesosi in altre città e operante nella Striscia di Gaza, non posso non fare autocritica e chiedermi perché in Italia – dove vive uno dei popoli occidentali più solidali con la causa palestinese – non si siano raggiunte le 100mila persone in piazza.

La rincorsa dell’unità a tutti i costi sotto slogan (solo slogan) forti e spesso provocatori, l’esclusione delle anime più pacifiste, delle ong e delle piccole associazioni non radicali, lo svuotamento della piazza dai contenuti legati alla storica solidarietà che il popolo italiano ha rivolto verso Gaza e la Palestina tutta, hanno sicuramente contribuito a una fiacchezza delle piazze, mantenendo a marciare i più determinati a fianco dei più puristi.

Nelle guerre che hanno colpito Gaza prima dell’ottobre 2023, la partecipazione e il coinvolgimento della società civile ha permesso di non far cadere la Palestina nel dimenticatoio buio della storia, mobilitando migliaia di persone come successe – in ultimo – nel maggio 2021.

Adesso sembrerebbe più difficile stare insieme per una causa comune, stare insieme nonostante le differenze, come se si potesse lavorare solo se si è simili. Come se fossero più importanti i nemici tra gli alleati che i nemici della dignità umana e della vita, come sono i ministri del governo Nethanyahu.

Il risultato di questo purismo da inesperti è stato comunque importante, perché il moltiplicarsi di iniziative ha avuto in ogni caso il pregio di far parlare della violenza del genocidio in molteplici modi: dalle occupazioni simboliche di sedi politiche, dalle tendopoli in università, alle iniziative di raccolta fondi, di sensibilizzazione o culturali; dai presidi sotto i consolati a quelli nelle zone centrali della città, oggi aree off limits per una parte della popolazione discriminata dall’istituzione delle zone rosse.

L’ultimo corteo nazionale, svolto a Milano il 12 aprile, ha visto smuovere migliaia di persone che hanno risposto dalle moschee e organizzazioni islamiche di tutta Italia. Circa 10mila persone hanno percorso la manifestazione uniti nel dolore e nella rabbia. La repressione poliziesca ha colpito la coda del corteo, dove erano presenti militanti di spazi sociali italiani, colpevoli di volersi autodeterminare in un contesto dove le garanzie date erano altre. Insomma, dopo qualche azione di sanzionamento, i reparti in assetto antisommossa si sono mossi e hanno dapprima diviso il corteo e – nel marasma da loro stessi creato – trattenuto sette persone.

Come è normale, si è attivata fin da subito la solidarietà dei presenti, che hanno richiesto l’immediata liberazione delle persone fermate.

Mentre la testa del corteo raggiungeva il punto di arrivo della manifestazione all’Arco della Pace, diversi manifestanti sono tornati indietro e hanno ingigantito il presidio solidale che attendeva la liberazione dei sette fermati. Dopo diverso tempo, le persone sono state rilasciate e la coda del corteo è potuta ripartire. Un episodio tra tanti che dimostra l’incapacità di pensare alla questione palestinese qui in Europa come una questione che riguarda tutti, ognuno con le sue modalità e le sue strategie, ma uniti negli obiettivi; il primo fra tutti, oggi, è quello più urgente e cioè lo stop dei massacri di civili di Gaza.

Abbiamo sempre sostenuto che la questione palestinese non fosse una questione umanitaria bensì una causa politica da legittimare e difendere. Oggi che il popolo di Gaza ha più bisogno che mai di ogni soggetto solidale, questa differenziazione è vuota, non è interessante né utile. Serve allargare, unire il fronte solidale senza insistere negli aspetti di ciò che ci rende differenti. E le organizzazioni palestinesi hanno una grande responsabilità di fronte a questo. Non saremo mai tutti uguali, ma siamo davvero così diversi?