In questi mesi Ali Rashid vive in treno, passando da una città all’altra per raccontare, o meglio cercare di raccontare perché le parole non bastano, la tragedia del suo popolo. Il primo segretario della delegazione generale palestinese in Italia, l’ambasciatore di un popolo senza Stato, sta percorrendo la penisola insieme alle due mostre ‘Qui resteremo’ e ‘Kufia, matite italiane per la Palestina’. Nella prima ci sono gli scatti catturati da fotografi palestinesi, immagini che descrivono il genocidio di un popolo, corpi piegati, macerie umane e urbane, fumo, sangue, bambini che urlano, nella seconda i disegni e le vignette realizzate nel 1988 durante la prima Intifada da Guido Crepax, Magnus, Vauro, Milo Manara, Andrea Pazienza e tanti altri. “Nemmeno le feste pasquali stanno fermando il massacro. Questa mattanza dura da diciotto mesi, senza che le autorità internazionali intervengano per porvi fine. Sono stanco, ma per non arrendermi a questo senso di impotenza che ci attraversa vado avanti a denunciare la barbarie”.

Rashid, questa non è una guerra ma una carneficina. Hanno ucciso decine di migliaia di donne, uomini e bambini, hanno ucciso fotografi e giornalisti, hanno ucciso operatori sanitari, bombardato scuole e ospedali. Eppure né la comunità internazionale né l’Onu riescono a intervenire per scrivere la parola fine.

“La Striscia è completamente distrutta, ci sono solo macerie. Si muore sotto le bombe israeliane, si muore di fame, di sete, di malattie, di disperazione. Crollano case, chiese, ospedali, le incubatrici si spengono perché non c’è elettricità e altri bambini muoiono. Con giornalisti e fotografi, che sono diventati anche loro bersagli, cerchiamo di far conoscere tutto questo. Ma come si fa a raccontare il dolore e la disperazione che durano così a lungo? Come si fa a raccontare la morte per fame o per sete o la mancanza di un posto in cui curarsi? Come si fa a raccontare la solitudine di un popolo che sprofonda nella morte sotto gli occhi di tutti? Sono immagini spaventose che gelano il sangue, annebbiano la mente, frantumano l’anima, polverizzano i sensi e fanno soccombere le parole. Nessuno articolo può contenere il racconto di quello che sta andando avanti da un anno e mezzo”.

Come si fa a parlare di diritto internazionale, di diritti umani, di fronte a uno scenario del genere?

“Giornalisti e fotografi sono diventati un bersaglio privilegiato, per cercare di nascondere al mondo quello che sta accadendo. In un solo anno ne sono stati uccisi oltre 190, nei trent’anni precedenti ne erano stati assassinati diciannove. Ma, come scrive Hanna Arendt, ‘i fatti sono al di là dell’accordo e del consenso. I fatti sgraditi possiedono un’esasperata ostinazione che può essere scossa soltanto dalle pure e semplici menzogne’. Eppure dobbiamo andare avanti, e qualcosa, molto lentamente si sta muovendo. Anche se è ancora troppo poco per fermare questa tragedia”.

C’è chi dice no anche fra gli ebrei, penso all’appello firmato fra gli altri da Gad Lerner, Moni Ovadia, Roberto Della Seta, Carlo Ginsburg, Anna Foa…

“Sono in contatto con loro, cerchiamo di fare qualcosa insieme nonostante le difficoltà. Perché sono stati minacciati, isolati”.

Anche Papa Francesco, il Pontefice arrivato dalla fine del mondo, ha consumato le sue ultime energie chiedendo per l’ennesima volta la pace, ribadendo che le politiche di riarmo sono in antitesi con la convivenza fra i popoli, ricordando fra le altre la tragedia che si consuma nella Striscia di Gaza.

“Papa Francesco è stata una delle poche voci autorevoli che non ha mai mancato di farsi sentire. Nonostante le difficoltà e le pressioni che subiva anche lui. Netanyahu non si fermerà, non ne ha nessuna intenzione. Occorre la volontà della comunità internazionale. Ma fino ad oggi Israele ha avuto un sostegno generalizzato, e solo qualche piccola isolata critica. In definitiva il governo israeliano è stato appoggiato, solo dalle Nazioni Unite sono arrivate parole di condanna, inascoltate”.

Nel mentre l’Europa pensa a riarmarsi. L’Europa del Manifesto di Ventotene non esiste, forse non è mai esistita.

“Definire l’Europa è difficile visto che stiamo parlando di Stati nazionali. Comunque fino ad oggi è stata complice di scelte altrui, penso agli Stati Uniti, con una tendenza al riarmo che non fa certo ben sperare. Guerre e armi si alimentano a vicenda, e naturalmente c’è chi si arricchisce da questo stato di cose. Nonostante i suoi mille cantori, il colonialismo genocida resta sempre lì, nudo e ridicolo quanto il superbo tiranno dell’antica fiaba. Anche l’Europa sceglie il dominio e lo sfruttamento al posto della convivenza. Una pericolosa svolta a destra che rischia di condizionare ancora più negativamente il nostro futuro”.

Al di là delle vittime e della sofferenza della popolazione civile, sarà mai possibile un giorno ricostruire ciò che è andato distrutto nella Striscia di Gaza?

“Intanto cerchiamo di sopravvivere. Poi si vedrà. Sicuramente da soli non possiamo farcela. L’unico fatto positivo è che le sofferenze del popolo palestinese oggi sono conosciute ai quattro angoli del pianeta. E lo ripeto, solo con l’appoggio della comunità internazionale possiamo interrompere questo genocidio”.

In questo contesto l’elezione di Donald Trump al posto di Joe Biden ha mutato lo scenario?

“Trump non ci sta aiutando, anzi continua a rifornire Israele di armamenti. Ed ha detto a chiare lettere quello che molti altri, ipocritamente, non avevano il coraggio di dire, cioè che i palestinesi devono andarsene di lì, vanno cacciati, espulsi, deportati. Allontanati dalla loro terra, come successe nel 1948, quando ci furono altre distruzioni, altri massacri, altre deportazioni. Gli israeliani dicono candidamente che i palestinesi devono morire, anche con la fame, con la sete, con la mancanza di medicinali, la distruzione degli ospedali e delle scuole. Non vogliono che ai palestinesi resti alcun posto dove possano considerarsi sicuri. Le loro operazioni militari contemplano la distruzione totale, completa. Non sono effetti collaterali di una guerra. Il loro ministro della difesa è stato esplicito: per Gaza nemmeno una goccia di acqua”.

Due popoli due Stati, è ancora possibile questo obiettivo?

“Due popoli due Stati resta un’ipotesi, una possibilità. Ma certo, se si continuano a creare colonie ebraiche in Cisgiordania, come si può pensare di realizzare uno Stato palestinese? Quali sarebbero i confini? Bisognerebbe aggiungere qualche parola in più, altrimenti resta uno slogan vuoto, utilizzato da chi non sa più cosa dire. Il martirio del popolo palestinese nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania non è un incidente di percorso, viene da lontano. La politica israeliana non è mai cambiata, dal 1948 fino ad oggi. L’obiettivo è sempre stata la pulizia etnica, il massacro. La questione palestinese non è nata dopo il 7 ottobre, quello casomai ha fatto da detonatore. La pulizia etnica dura da 76 anni, ha avuto delle pause ma non è mai cessata. Ed ora è stata rilanciata in grande stile, grazie alle armi che l’Occidente vende a Israele”.

Sei stato diplomatico, giornalista, anche parlamentare. Non ti arrendi e continui a perorare la causa del tuo popolo.

“Certo, praticamente vivo in treno. E la solidarietà non manca, me ne accorgo in tutti gli incontri che faccio, in tutte le occasioni pubbliche a cui partecipo. C’è sempre tanta gente che viene a questi appuntamenti, hanno capito finalmente cosa sia in realtà Israele, malgrado i tentativi di dare soltanto la colpa ad Hamas e al governo di Netanyahu. Netanyahu è solo l’evoluzione di quello che Israele è sempre stato, il popolo eletto a cui Dio ha dato questa terra, che ha commesso delle atrocità. Cosa ci si dovrebbe aspettare da chi vive assediato da decine e decine di anni, da chi sta morendo lentamente, giorno dopo giorno? I palestinesi non possono sparire in silenzio”.