Adesione oltre il 70% e manifestazioni in 20 città.

Il 31 marzo scorso le lavoratrici e i lavoratori delle telecomunicazioni hanno scioperato per il rinnovo del Contratto collettivo nazionale di lavoro scaduto dal 31 dicembre 2022. Dalle piazze di Torino, Milano, Trento, Padova, Trieste, Bologna, Genova, Firenze, Perugia, Roma, L’Aquila, Ancona, Bari, Napoli, Potenza, Cosenza, Crotone, Catanzaro, Reggio Calabria, Palermo, Catania e Cagliari, con un’adesione allo sciopero di oltre il 70% degli addetti, migliaia di manifestanti hanno chiesto a gran voce il rinnovo del contratto.

Il negoziato è stato bloccato da parte di Asstel, indisponibile ad affrontare la parte economica della rivendicazione di Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom: 260 euro al quinto livello. Una cifra congrua, in linea con gli andamenti inflattivi del triennio di vigenza, che ha l’obiettivo di ripristinare il potere di acquisto perduto in questi anni per effetto dell’inflazione cresciuta ben oltre le previsioni.

Il contratto collettivo nazionale delle telecomunicazioni, lo ricordiamo, copre una platea di circa 150mila addetti distribuiti in un quadro variegato di realtà che vanno dalle grandi Telco alle aziende di Rete e all’Ict, per finire al comparto del Crm/Bpo; interessato, quest’ultimo, da una grave vertenza che ha visto alcune aziende abbandonare la trattativa e il Ccnl stesso, per sottoscrivere un contratto in dumping con Cisal, lesivo in tema di diritti e, in prospettiva, di salario per migliaia di lavoratori.

Questa vicenda crea un pericoloso precedente per tutto il settore. Un settore una volta ricco ma che da anni ormai vive la paradossale contraddizione di ricavi in caduta libera in presenza di una domanda che cresce.

Da una parte la mancanza di politiche industriali da parte di governi miopi, quando non pavidi, dall’altra parte una folle competizione sui prezzi, hanno portato all’attuale situazione in cui le grandi Telco stanno usando il mancato rinnovo del Ccnl come arma di ricatto e pressione nei confronti del governo a sostegno delle loro rivendicazioni verso l’esecutivo, ad esempio in tema di fiscalità agevolata e sgravi sui costi energetici.

Grave ed inaccettabile che, in un paese dove il potere d’acquisto dei salari retrocede a livelli inferiori a quelli del 2008, Confindustria pensi ancora di scaricare le contraddizioni del “mercato” sul diritto dei lavoratori a un salario degno.

Dopo lo sciopero di settore, in grave ritardo, il ministero delle Imprese e del Made in Italy ha convocato un tavolo sulle Tlc per il 24 aprile. Meglio tardi che mai, soprattutto oggi, in un contesto internazionale sempre più destabilizzato, dove giocano un ruolo senza precedenti i vassalli tecnologici di Trump, proiettati verso un progetto globale di tecno-feudalesimo digitale.

Oggi più che mai denunciamo l’assenza di politiche per gestire una transizione digitale che argini invece queste derive, oggi più che mai difendiamo le ragioni del lavoro in un settore strategico per tutto il Paese, fino a quando non avremo il rinnovo del contratto e oltre.