Un incontro a Milano: il voto anche come opportunità per costruire le alleanze di domani.

Il 29 marzo scorso, al circolo sociale Lato B di Milano, si è tenuto un incontro sui contenuti dei quesiti referendari, organizzato dal centro culturale Concetto Marchesi. Il centro culturale è da sempre promotore di quella tessitura di relazioni necessarie per la coltivazione e circolazione di idee volte alla costruzione di una visione del mondo altra, importante per il nutrimento di quella speranza legata al superamento delle strutture esistenti, capace di riempire di senso identità collettive e azioni quotidiane di tutte quelle persone che vogliono far parte di un progetto generativo e trasformativo.

Nell’incontro si è sviluppato un interessante dialogo tra le diverse realtà politiche coinvolte, cominciato con un’introduzione dei contenuti dei quattro quesiti sul lavoro e di quello sulla cittadinanza, collegati dalla necessità di superare la precarietà dell’esistenza e dalla volontà di tornare indietro per ripartire. Sia la ricattabilità nel rapporto lavorativo che l’innalzamento degli ostacoli alla partecipazione politica nel territorio di residenza vanno intesi come una regressione del modello di civiltà verso il quale dovremmo orientarci. Senza dimenticarci che il vero obiettivo della deregulation voluta dai cavalieri del neoliberismo è la distruzione della coscienza collettiva e dell’azione rivendicativa di classe.

Marco Dal Toso, per Sinistra italiana, ha sostenuto che la sinistra politica dovrebbe partire dal ragionamento sui referendum per immaginare come rafforzare la posizione strutturale della rappresentanza del lavoro nei confronti del capitale, ad esempio andando oltre l’articolo 18 così come previsto dalla legge 92/2012 (legge Fornero), risultato che otterremmo con il primo quesito, per garantire il pieno diritto alla reintegra in caso di licenziamento illegittimo e così inibire gli abusi da parte padronale, ma anche rendendo residuale il ricorso a forme di lavoro “atipico”.

Matteo Prencipe, per Rifondazione comunista, ha fatto riferimento a problemi di portata generale, come l’assenza di speranza per gli abitanti del nostro mondo e in particolare del nostro territorio, con la battaglia referendaria intesa come momento nel quale sperimentare una pratica di inversione di questo sentimento di rassegnazione, non fine a se stessa quindi ma inserita in un più lungo progetto di trasformazione radicale del contesto sociale e politico che non solo toglie spazio al lavoro vivo, ma anche al desiderio di generare nuova vita.

Infine Matteo Nepi, membro dell’associazione Idee Sottosopra, che si impegna nel far accedere studenti e lavoratori al dibattito contemporaneo in materia di geopolitica, non si è limitato a sostenere i quesiti referendari. Ha sostenuto che la classe lavoratrice ha bisogno di superare un approccio prettamente difensivo per riappropriarsi della definizione del modello di sviluppo desiderato, sul quale costruire conseguentemente delle rivendicazioni di classe. Non si tratta soltanto di un principio di massima e legato all’identificazione di un’utopia condivisa sulla quale far convergere il sogno comune, ma bensì di identificare, anche grazie all’analisi delle evoluzioni geopolitiche, le opportunità in termini di pianificazione dell’investimento pubblico in settori considerati strategici per l’occupazione del nostro Paese, guidandola attraverso quei principi e criteri per i quali si possa parlare di buona occupazione. Ai lavoratori, in poche parole, dare uno spazio di pianificazione politica dello sviluppo economico.

Il filo rosso della discussione è stato il lavoro che – grazie ai referendum – torna al centro del dibattito politico nella sua dimensione di classe, il desiderio di ritrovare un orizzonte di ampio respiro, il sogno di superare i confini di quel deserto che si chiama capitalismo.