Gli indicatori demografici per il 2024 diffusi dall’Istat lo scorso 31 marzo certificano lo scenario allarmante di una glaciazione demografica in corso da anni. Sono sintomatici di un Paese senza speranza e fiducia nel futuro, che si rifiuta di fare i conti con il suo declino e di promuovere politiche necessarie a mantenere un equilibrio demografico. Anzi, sembra voler fare di tutto per allontanare cittadini e residenti, e per rendere sempre più difficile alla quota declinante di giovani di pensare, e progettare, una famiglia.

Per questo i cinque referendum su cui si vota l’8 e 9 giugno prossimi sono importantissimi, non solo per il futuro democratico – la partecipazione diretta delle cittadine e dei cittadini – ma anche per quello demografico dell’Italia.

L’Istat certifica il progressivo calo demografico: al 31 dicembre 2024 la popolazione residente era di 58 milioni 934mila unità, 37mila in meno sull’anno precedente. La diminuzione della popolazione prosegue ininterrottamente dal 2014, proprio mentre l’“infame energumeno che agita il rosario” (citazione da un testo di Bifo) andava blaterando di invasione straniera e si impegnava – purtroppo con successo – nell’impedire il soccorso ai migranti in mare.

Al contrario sono solo le immigrazioni dall’estero, 435mila, pur inferiori di circa 5mila unità rispetto al 2023, a compensare in ampia parte il deficit dovuto alla dinamica naturale e all’emigrazione. Infatti siamo al minimo storico di nascite, 370mila contro 651mila decessi – pur rientrati in una dinamica “normale” dopo i picchi dovuti alla pandemia da Covid 19 – e a un nuovo boom delle emigrazioni per l’estero: 191mila (+ 33mila, +20,5% sul 2023), delle quali ben 156mila di cittadini italiani che espatriano (+36,5%).

E’ il saldo migratorio netto (+244mila) a limitare il calo della popolazione residente, altrimenti ben più consistente. Al 1° gennaio 2025, quindi, i residenti di cittadinanza straniera sono 5 milioni e 422mila, in aumento di 169mila (+3,2%), mentre diminuisce ancora la popolazione di cittadinanza italiana (53 milioni 512mila), 206mila in meno rispetto al 1° gennaio 2024 (-3,8 per mille).

L’altro fenomeno strutturale è il calo della natalità, il cui tasso si assesta al 6,3 per mille, contro il 6,4 per mille del 2023. I nati di cittadinanza straniera, il 13,5% del totale, sono quasi 50mila, circa 1.500 in meno dell’anno precedente.

Con 1,18 figli per donna, la fecondità nel 2024 è al minimo storico.

Il calo delle nascite, oltre ad essere determinato dall’ulteriore calo della fecondità, è causato dalla riduzione nel numero dei potenziali genitori, risultato del calo del numero medio di figli per donna registrato nei loro anni di nascita.

La rilevanza dell’aspetto strutturale è evidente: la popolazione femminile nelle età considerate riproduttive (15-49 anni) è scesa in dieci anni da 14,3 milioni a 11,4 milioni. Continua a crescere l’età media al parto (32,6 anni), riducendo l’arco temporale a disposizione delle potenziali madri per la realizzazione dei progetti familiari.

Di fronte a questo scenario servono, non da oggi, forti politiche strutturali per dare certezze, soprattutto ai giovani: la certezza di solide prospettive di lavoro e reddito; lavoro stabile e ben retribuito per consentire di formare una famiglia e decidere di avere dei figli; congedi adeguatamente remunerati e paritari; la certezza di una casa e di una rete di servizi per l’infanzia, a partire da asili nido diffusi nel territorio, accessibili e gratuiti. Allo stesso tempo una politica di accoglienza e integrazione dei migranti che già oggi – nonostante le mille discriminazioni – costituiscono una componente fondamentale della vita economica e sociale del nostro Paese.

In questo senso i nostri cinque referendum guardano e danno prospettiva al futuro. Riducono la precarietà, favoriscono un lavoro stabile e sicuro, allargano i diritti di cittadinanza a residenti oggi trattati come persone di serie B.

Con il quorum e 5 Sì possiamo contribuire ad avviare un’inversione di tendenza del grave declino demografico, riportando l’allungamento della speranza di vita – che l’Istat certifica salita a 81,4 anni per gli uomini e a 85,5 per le donne (+0,4 in decimi di anno), superiori a quelli del 2019 – a quello che effettivamente rappresentano: una conquista sociale e civile, frutto e premessa allo stesso tempo di un welfare che non vogliamo veder trasformarsi in warfare.