A Roma il 5 aprile scorso hanno sfilato in 70mila o giù di lì per dire no al riarmo. Il corteo è sfilato per più di un’ora da piazza Vittorio ai Fori imperiali, dove era stato allestito il palco.

Ero curioso di vedere la manifestazione organizzata da un partito che non viene dalla storia del movimento operaio, e che non accetta di definirsi di sinistra dichiarando di essere divenuto “progressista”, dopo 15 anni dalla sua fondazione e a pochi mesi dalla rottura con il suo fondatore, Beppe Grillo, che si professava “oltre”. Un partito che ha fatto parte di tre governi, uno con la Lega, il secondo con il centrosinistra, il terzo di unità nazionale, un partito che ha scelto, l’anno appena passato, di aderire nel Parlamento europeo al gruppo della sinistra, il Gue/Ngl. Il partito cui si devono il reddito di cittadinanza e il decreto dignità, e che validamente lavorò con i partiti di centrosinistra alla gestione della emergenza pandemica. Il partito cui si deve purtroppo anche il primo decreto Salvini contro “i taxi del mare”…

La manifestazione era stata promossa nel silenzio e nella indifferenza della stampa e della televisione che, al contrario, avevano garantito larga copertura alla manifestazione per l’Europa lanciata da Michele Serra e sponsorizzata dal quotidiano la Repubblica, che si è tenuta il 15 marzo in piazza del Popolo a Roma.

Il lungo serpentone, il 5 aprile, era aperto dallo striscione “No al riarmo!” Tra i manifestanti anche molti giovani. “Meno armi più sanità!” gridavano in corteo, e molti slogan erano contro la guerra e il massacro del popolo di Gaza.

Il comizio finale, seguito con attenzione da larga parte dei manifestanti che si sono trattenuti nella piazza per più di tre ore, ha rappresentato una rivendicazione orgogliosa del passato, del presente e del futuro del Movimento 5 stelle, anche l’occasione per il palesarsi di un ampio schieramento di partiti, movimenti e associazioni contro la guerra, che chiedono pace e tregua in Ucraina e Palestina, senza se e senza ma. Forte la difesa (e la contrapposizione) dell’Europa come aspirazione ideale, “quella di Ventotene” e della politica di distensione, e la condanna dell’Europa del riarmo e della economia di guerra.

Dal palco hanno preso la parola i principali leader del Movimento, da Paola Taverna, che ha svolto la funzione di presentatrice degli oratori, a Roberto Fico, a Chiara Appendino, ai capigruppo parlamentari di Camera e Senato, Riccardo Riccardi e Maria Domenica Castellone, accompagnati sul palco dai loro parlamentari. Mentre erano sul palco, i deputati sventolavano nelle loro mani le bandiere di Palestina e della pace. Ha parlato anche la responsabile della organizzazione giovanile del movimento, ed hanno preso la parola Fabio Lotti del Tavolo della Pace, padre Alex Zanotelli, il presidente delle Acli, Emiliano Manfredonia, Andrea Pantano della Libertas e quello dell’Arci, Walter Massa, Elisa Sarmenini della Rete dei numeri pari, il presidente di Greenpeace, Ivan Novelli. Hanno parlato gli eurodeputati Pasquale Tridico e il belga Marc Botenga (in un perfetto italiano), ambedue del Gue/Ngl, e l’ex parlamentare europea Barbara Spinelli, figlia di Alfiero.

Hanno preso la parola, tra gli altri, anche Marco Travaglio e, in video, Alessandro Barbero, che ha lucidamente paragonato l’attuale crisi contienntale agli anni che hanno preceduto “il suicidio dell’Europa nel 1914”, e Tomaso Montanari. È intervenuto anche l’economista e consulente delle Nazioni unite, Jeffrey Sachs. Hanno parlato i segretari dei Verdi, Angelo Bonelli, e di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni, e quello di Rifondazione comunista, Maurizio Acerbo, l’unico che ha richiamato nel suo intervento i referendum dell’8 e 9 giugno. Sono intervenuti Francesca Fornario, Saskia Terzani e Massimo Wertmuller.

Alla manifestazione avevano deciso di inviare delegazioni anche l’Anpi e il Pd. Nella delegazione del Pd anche la nostra ex segretaria generale Susanna Camusso, e Marco Tarquinio.

Giuseppe Conte, nel suo intervento che non è stato l’ultimo, ha affermato che si è rotta la farlocca luna di miele tra Giorgia Meloni e gli italiani, e che sono state gettate le fondamenta dell’alternativa di governo con le forze oggi in piazza. Una piazza che rimandava nella partecipazione a quella del 5 marzo 2022 promossa dalla Rete per la Pace e il Disarmo. Di diverso c’era il colore prevalente: il 5 aprile quello bianco delle bandiere del M5s, nonostante il generoso, rosso contributo di vessilli di Rifondazione. C’era tutto l’associazionismo della Via Maestra, tranne la Cgil.

Ho scritto questo articolo durante la manifestazione, che è durata più di quattro ore tra corteo e comizi. A due giorni di distanza, mentre lo rileggo, mi viene una riflessione. A quella manifestazione di popolo mancava la presenza organizzata del mondo del lavoro. Si sentiva nelle parole d’ordine e nei comizi conclusivi. Non è una critica né alla manifestazione, né ai manifestanti, né ai promotori. È una riflessione che investe noi, la Cgil.