
Una testimonianza sull’ordinaria follia delle politiche di accoglienza.
Svolgere azione di volontariato in una struttura che assiste tutte le persone in difficoltà, è una esperienza che tutti in un momento della loro vita dovrebbero fare. Si comprende in diretta cosa significa la povertà sempre più dilagante, persone che vengono a chiederti un pasto o un pacco di pannolini per i propri figli.
Fra settembre e novembre in questo territorio della provincia Bat ( Barletta Andria Trani) arrivano da tutta Italia centinaia di migranti per poter lavorare per qualche mese, regolarmente in nero, nelle campagne, prima per la vendemmia e poi per la raccolta delle olive. Arrivano anche in Casa accoglienza di Andria per poter avere un pasto e una coperta.
Alcuni sono originari di nazioni che avevo visto disegnate su di un atlante o di cui avevo letto sui quotidiani per via di un colpo di stato o peggio di un conflitto fratricida tra tribù contrapposte, che si fanno la guerra per conto di potenze occidentali o di grandi colossi petroliferi o minerari.
In uno di questi giorni ho incontrato un ragazzo giovanissimo del Mali con un tesserino di protezione internazionale. Ne avevo sentito parlare, ma non mi era mai capitato di avere di fronte una persona che era fuggita dal proprio paese per salvarsi la vita. Gli ho chiesto di raccontarmi la sua storia e, con il mio poco francese e il suo poco italiano, mi ha detto che era uno dei tanti ex ospiti del Cara (Centro accoglienza richiedenti asilo) di Bari.
Dopo avergli assicurato che non avrei fatto in nessun modo il suo nome, ha cominciato la sua narrazione. Era fuggito dalla capitale del Mali, Bamako, perché sarebbe stato arrestato e probabilmente torturato, come era già successo al padre in quanto oppositore della giunta golpista in carica.
Arrivato in Libia è rimasto per oltre sei mesi nelle carceri delle bande che promettono di portarti in Italia dopo il pagamento di una cifra enorme. Ha vissuto l’inferno di quelle carceri, ha assistito alla violenza dei carcerieri che li trattavano come se fossero bestie, ha osservato senza poter fare nulla gli stupri quotidiani delle donne. Dopo aver pagato 5.000 dollari, con una traversata durata tre giorni è arrivato a Lampedusa. Sul porto la prima identificazione, poi il trasferimento a Bari. Una volta arrivati la seconda e più accurata identificazione, e la richiesta di protezione internazionale.
Mi racconta che nel Cara, a differenza dei Cpr (centri di permanenza per il rimpatrio), c’è molta più libertà di movimento, tant’è che molti, specie siriani, turchi, palestinesi ed eritrei, il giorno dopo l’identificazione vanno via per raggiungere le proprie comunità sparse per l’Europa. L’Italia è solo la terra d’approdo ma non quella dove restare. Al Cara di Bari inoltra la domanda di protezione internazionale per avere lo status di rifugiato politico che consente, per esempio, di avere il medesimo trattamento del cittadino italiano per assistenza sociale e sanitaria.
Mi dice anche che la Cgil lavora molto con gli ospiti, fargli riconoscere la residenza gli permette di poter avere la possibilità di aprire un conto corrente. Fondamentale per chi è riuscito a trovare un lavoro. Del loro lavoro si giova l’economia del territorio, agricoltura e edilizia in testa.
La richiesta di protezione internazionale viene esaminata da una commissione territoriale che valuta in maniera approfondita la storia della persona e della nazione da cui proviene, e questo per il gran numero di richieste porta via un tempo infinito. Finché non arriva la risposta si può rimanere nella struttura del Cara. Quando arriva la comunicazione che la richiesta di protezione è stata accettata, si entra automaticamente nel Sai (Sistema accoglienza integrazione), che per tutti i beneficiari è il vero punto di partenza per vivere nel territorio italiano.
Il Sai ha come obiettivo l’accoglienza, la tutela e l’integrazione dei titolari di protezione internazionale. In Italia lo status ha la durata di cinque anni (in Francia, cinque più cinque), poi per mantenerlo devi dimostrare di essere autosufficiente.
I posti nel Sai sono molto pochi, perché sono poche le risorse messe a disposizione dal governo e bisogna fare una lunga fila per accedere alle strutture. Nel frattempo però si spendono miliardi per l’accordo con l’Albania.
Fino a qualche tempo fa, si poteva rimanere nella struttura del Cara, invece, da qualche tempo viene applicata la norma che ti mette fuori entro cinque giorni. Anche se non sai dove andare. Questo significa che torni in balia del nulla, della criminalità che da sempre sfrutta la debolezza del momento dei migranti.
Di notte si vedono tanti ragazzi scavalcare i cancelli per ritornare nella struttura. Il terrore di trovarsi in mezzo alla strada ha portato qualcuno ad avere paura del giudizio positivo della commissione. La folle burocrazia sui migranti porta anche a dover scegliere tra asilo politico e un posto dove dormire.