Luciano Canfora, Dizionario politico minimo, Fazi Editore, pagine 235, euro 18,50.

Sono lezioni che scaturiscono da una affermata e riconosciuta sapienza comunista quelle che lo storico del mondo antico e filologo Luciano Canfora, acutamente intervistato da Antonio Di Siena nel libro “Dizionario politico minimo”, riserva a quel pubblico vasto di lettori e lettrici tutt’altro che rassegnato rispetto ai tempi cupi e reazionari che si prospettano dopo l’avanzata delle destre su scala mondiale e il ritorno al Campidoglio di Donald Trump, grazie anche al sostegno del fascismo delle piattaforme informatiche.

C’è, infatti, un filo rosso che lega indissolubilmente i cinquanta vocaboli che compongono il libro, a partire, preliminarmente, dalla semplice constatazione che le parole “vanno maneggiate con cura, in quanto sono il veicolo di contrasti quasi sempre relativi a interessi materiali, economici, egemonici”. Pertanto Canfora, attraverso il ricorso all’analogia storica e con uno stile tagliente e dissacrante, fornisce formidabili piste di lettura relativamente alle molteplici contraddizioni determinate dalla globalizzazione capitalistica, ribaltando, senza il timore di essere annoverato tra i cosiddetti filo-putiniani, l’ordine del discorso dominante.

Infatti, avendo scritto la prefazione al libro dello storico americano Benjamin Abelow “Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina”, bestseller mondiale ma biecamente silenziato nel nostro paese, Canfora ha buon gioco nel ricordare come gli interessi del declinante imperialismo statunitense abbiano mirato ad affondare sul piano economico la Germania – recidendo i suoi rapporti con la Russia, soprattutto con il sabotaggio del gasdotto Nord-Stream – e conseguentemente l’Unione europea. Contando, come in tutte le guerre innescate dopo l’89, grazie alla diffusione di menzogne a iosa, sul servilismo del giornalismo al “seguito” per cui, come negli anni ’50 i “partigiani della pace” erano chiamati i “servi di Stalin”, oggi coloro che si sono mobilitati contro l’invio delle armi all’Ucraina sono etichettati come buonisti filo-putiniani. Anche perché, se la Cina è il nemico dichiarato che si staglia all’orizzonte, dopo aver spinto la Nato alle porte dei confini russi, nei serbatoi di pensiero americani si susseguono i seminari di studio e di propaganda che hanno l’obiettivo, sulla scorta della dottrina inaugurata da Zbigniew Brzezinski, di frantumare e quindi dissolvere la nazione più estesa al mondo.

In questo contesto, la subalternità atlantica e suicida dell’Europa, che si è palesata nell’assenza di qualsiasi iniziativa diplomatica, ha determinato un crescente fossato tra i proclami al riarmo da parte delle élite guerrafondaie europee e le opinioni contrastanti delle classi popolari, chiamate a pagare i costi sia delle sanzioni alla Russia che dei tagli allo stato sociale effettuati in nome del riarmo bellico. Un fossato che, in assenza di una netta presa di distanza delle sinistre dalle politiche belliciste condotte dalla Nato nel campo europeo, viene facilmente incanalato e strumentalizzato sul piano del consenso elettorale da parte delle destre populiste e reazionarie, al di là delle convenienze politiche del partito Fratelli d’Italia, che in un battibaleno è saltato sul carro atlantico.

Ma Canfora è tutt’altro che sorpreso da questa triste evoluzione dei processi politici: da un lato gli preme sottolineare come la costruzione dell’Europa non abbia avuto nulla a che vedere con i propositi contenuti nel “Manifesto di Ventotene”, poiché i Trattati di Roma del 1957, che sancirono la nascita della Comunità europea, spostando le decisioni ad un livello superiore, avevano come obiettivo quello di mettere nell’angolo i partiti comunisti che in Italia e in Francia esercitavano una egemonia culturale e politica non gradita.

Dall’altro lato, con il Trattato di Maastricht ispirato dai parametri dettati dal vincente turbo-capitalismo, abbiamo assistito ad una “cessione di sovranità” ad élite non elettive, nel mentre le sinistre, diventate devote al primato del mercato, si sono convertite alla liberaldemocrazia, rinnegando le loro matrici originarie.

Si è così determinato uno squilibrio nei rapporti di forza tra le classi e quindi un arretramento del movimento operaio di proporzioni enormi, poiché, sottolinea ancora Canfora, anche il “Novecento è una storia di alti e bassi”, al punto che il contrattacco padronale ha prodotto uno strisciante smantellamento dello Statuto dei Lavoratori.

Vi è però una previsione errata di Marx, che non inficia le sue poderose intuizioni a proposito della globalizzazione capitalistica, con cui è necessario fare i conti, se si vuole ricostruire una sinistra all’altezza dello spirito del tempo (Zeitgeist): non solo le classi sociali non si sono polarizzate, ma quelle antagoniste si sono “frantumate, suddivise, articolate”, con tutte le difficoltà oggettive che ne sono conseguite.