
In attesa che il governo indichi le date nelle quali si terranno le votazioni sui referendum, la Cgil tutta è impegnata, con le oltre 160 associazioni della Via Maestra, nella promozione in via prioritaria dell’importanza della partecipazione al voto.
I quattro quesiti sul lavoro chiedono la riduzione della precarietà, più sicurezza nei luoghi di lavoro, e il ripristino delle tutele delle lavoratrici e dei lavoratori in caso di licenziamento illegittimo sia nelle piccole che nelle grandi aziende.
Il quinto quesito, quello sulla cittadinanza, promosso da una rete di associazioni, ha trovato subito il pieno sostegno della nostra organizzazione che lo ha inserito a pieno titolo nella campagna per i 5 Sì.
Una scelta importante e in linea con quanto in questi anni abbiamo provato a dire e a sostenere in merito alle politiche migratorie che, in questi ultimi vent’anni e più, sono risultate tutte fallimentari o perché assenti, o incentrate tutte sulla repressione di diritti e sulla esclusione delle persone migranti dalla reale partecipazione alla vita attiva del paese.
Le lunghe file davanti agli uffici immigrazione delle Questure per il rinnovo o il rilascio del permesso di soggiorno sono tornate alle cronache in questi ultimi mesi, ed eclatanti sono stati i casi di Torino e Roma, dove addirittura una persona è morta di freddo durante la notte nell’attesa di avere accesso il giorno successivo agli sportelli. Si tratta di lavoratrici e lavoratori che, con le rispettive famiglie, bambini piccoli compresi, si devono recare in questi uffici per rinnovare i titoli di soggiorno.
Abbiamo assistito a scene indegne di un paese civile, che rappresentano la cifra di quanto hanno prodotto la mancanza di politiche attive e la costante tendenza ad escludere e marginalizzare le persone migranti. Le risorse per l’integrazione sono state progressivamente tagliate in favore di politiche repressive che stanno producendo risultati drammatici, lasciando in stato di abbandono le persone fragili e scatenando una guerra fra poveri senza precedenti, alimentata anche dai mezzi di informazione e social.
Il referendum sulla cittadinanza prova ad invertire la tendenza. È bene ricordare che prima del 1992 la legge italiana già prevedeva cinque anni di residenza stabile nel nostro paese per ottenerla. Fu la legge 91 dell’allora governo Andreotti a portarla a dieci anni.
Ai dieci anni previsti dalla legge, ora lo Stato si prende altri due anni prorogabili a tre per svolgere la pratica. Una follia! Fra gli altri requisiti c’è la conoscenza della lingua italiana, il superamento di un questionario sulla reale volontà di sentirsi italiani (?!), avere un reddito sufficiente per mantenersi e mantenere la famiglia, avere assolto agli obblighi tributari, essere incensurati non solo in Italia ma anche nel paese da cui si proviene. Infatti serve un certificato penale tradotto e legalizzato, e l’assenza di cause ostative collegate alla sicurezza della Repubblica. Stando a questi requisiti viene da riflettere su quanti italiani avrebbero le condizioni per l’ottenimento della cittadinanza….
Infine, per quanto riguarda il reddito, è necessario dimostrare che negli ultimi tre anni sia stato di un certo importo, altrimenti non si ha diritto a presentare la domanda. Ma in questi anni di crisi, dovuti anche all’emergenza pandemica, molte persone non hanno potuto soddisfare questo requisito, nonostante oggi stiano lavorando, perdendo così la possibilità di fare domanda di cittadinanza. E con loro hanno perso il diritto anche i figli minori residenti in Italia.
I più impegnati in questa campagna referendaria sono le ragazze e i ragazzi delle seconde o terze generazioni di migranti, che mai hanno visto il paese dei propri genitori o che sono arrivati qui in tenera età. La riduzione del requisito a cinque anni di residenza stabile favorirebbe enormemente i processi di integrazione e consentirebbe una reale partecipazione alla vita attiva, basti pensare alla possibilità di partecipare attivamente alla vita politica nella comunità dove risiedono, il poter decidere di andare a vivere in un altro Stato estero dell’Unione europea, cosa preclusa a chi ha il solo permesso di soggiorno.
L’ottenimento della cittadinanza italiana rappresenta per queste persone la certificazione di quello che già di fatto sono e si sentono. Dare maggiori opportunità non può far altro che accrescere il senso di appartenenza, e la voglia di dare un contributo positivo allo sviluppo sociale ed economico del nostro paese.