
Recenti avvenimenti hanno posto all’attenzione del contesto economico e politico il tema della situazione industriale del Ponente ligure: la cassa integrazione alla Bitron e il prosieguo per la Sanac; il piano di sviluppo per lo stabilimento Alston (ex-Bombardier ed ex-gloriosa Brown Boveri) di Vado Ligure e – forse di maggior rilievo – l’acquisizione della Piaggio (Sestri Ponente e Villanova) da parte dei turchi della Baykar, fabbricanti di droni d’attacco militare e di aerei da caccia senza pilota. Scelta che pone la Piaggio in prima linea sul fronte dell’industria militare, tanto che dal governo vengono voci di joint-venture con Leonardo (e della stessa Leonardo con i turchi, come annunciato dal ministro Urso), il cui quartier generale risiede a Sestri Ponente.
Se pensiamo al complesso dell’industria militare a La Spezia abbiamo un quadro complessivo di tessuto industriale in Liguria votato verso il contesto bellico, verso il quale – comunque – l’industria italiana sta subendo una evidente torsione. La Turchia, peraltro, è un paese a ‘democratura molto limitata’, impegnata su due delicatissimi fronti di guerra come Siria e Libia, membro della Nato, nel cui ambito dispone del secondo esercito dopo quello Usa, e fornitrice di tecnologia per entrambe le contendenti della guerra russo-ucraina.
Si pongono interrogativi pressanti sul modello di presunto sviluppo che si sta proponendo all’intero Ponente ligure, che si vorrebbe piegare a un complesso di servitù di diverso tipo.
Lo sbilanciamento dell’industria militare si sta verificando in un Paese privo di progetto industriale da quando la privatizzazione dell’Iri lo ha lasciato scoperto in settori strategici, con una ridotta capacità manifatturiera e di autonomia tecnologica, dipendente sul terreno della comunicazione – al di là degli eventuali accordi con Starlink – e nel campo dell’utilizzo dell’AI, ai margini del quadro europeo.
Nella provincia di Savona registriamo da molti mesi una grandissima attenzione dell’opinione pubblica sulla nave-rigassificatore che non si vorrebbe spostata da Piombino a Vado Ligure. Attenzione giusta (il tema riguarda l’altro punto nodale della prospettiva di sviluppo: dal militare all’energetico e relative dipendenze), ma che dovrebbe essere accompagnata da eguale impegno e attenzione sulle prospettive dell’industria.
Un’industria soggetta nel tempo ad un processo di arretramento strutturale che ha lasciato anche profonde ferite, non solo sul piano economico ma anche dell’uso del territorio, come nel caso della Val Bormida. Qui va rimarcato ancora una volta l’esito deficitario del decreto di crisi industriale complessa del 2016, senza che si sia registrata la messa a disposizione di aree utilizzabili per un progetto vero di ripresa industriale (pensiamo a Ferrania e ad Acna).
La caduta dell’industria e dell’identità produttiva viene da lontano, già prima degli anni ‘60, quando si è avviato un processo di dismissione anche per cause di natura geopolitica, soprattutto per la siderurgia. La struttura industriale savonese aveva rappresentato punti di eccellenza sviluppatisi proprio nella connessione tra progresso scientifico, applicazioni tecnologiche, capacità produttive, ad esempio la Scarpa e Magnano, Tecnomasio, la Ferrania. La sottrazione di capacità tecnologiche e di tecnica operativa fu alla causa di una fase, protrattasi ben oltre gli anni ‘90, che può essere definita di “arretramento dalla modernità”. Si è così accumulato un ritardo che ha provocato una vera e propria caduta di identità.
Oggi si tratta di pensare ad una inversione di tendenza, verificando la disponibilità dei territori, la capacità di promozione per progetti ad alto livello tecnologico, di uscita dall’isolamento dal punto di vista infrastrutturale. Il ruolo dell’Università e delle aziende ancora presenti sul territorio dovrà essere compreso in questo disegno per il quale occorre tutto l’impegno delle istituzioni e della società civile. Potrà essere possibile richiamare presenze sul territorio anche attraverso le nuove forme di lavoro cosiddetto “agile”, per il quale la nostra realtà presenta condizioni molto favorevoli. Ma il cuore di una possibile ipotesi di nuovo sviluppo dovrà essere formato dalla triade tecnologica, infrastrutture, e ritorno ad una vera e propria “vocazione territoriale” per lo sviluppo.
Sul piano infrastrutturale la risorsa principale è la realizzazione di opere in grado di far uscire la nostra area dall’isolamento e velocizzare al massimo la movimentazione. I collegamenti necessari sono di quattro ordini: ferroviario, con il potenziamento sia verso Nord sia verso Ponente, stradale, aeroportuale, marittimo, con la creazione di “autostrade del mare” verso Marsiglia.
Serve una forte capacità di pressione verso la Regione, alla quale richiedere una capacità di programmazione che tenga conto delle esigenze dell’insieme della Liguria, non esaurendosi nel nodo genovese. Una capacità di programmazione da realizzarsi con un adeguato equilibrio progettuale, cominciando con il non lasciare soli i lavoratori e il sindacato nelle loro lotte quotidiane.