
Friedrich Merz, probabile futuro cancelliere della Germania, fin dalle prime ore successive al voto di domenica 23 febbraio ha lasciato intendere di voler dare un’impronta decisionista alla sua politica. La Cdu di oggi è dichiaratamente diversa da quella di Angela Merkel. Nelle forme, perché laddove l’ex cancelliera puntava sulla mediazione e il compromesso (tranne che nella trattativa con i greci di Tsipras), Merz vuole muoversi con velocità e anche con scelte di rottura.
Il modello tedesco, bassi costi energetici e forte proiezione commerciale all’estero, è stato messo in crisi dalla guerra in Ucraina. Il socialdemocratico Scholz ha inseguito, assecondandole, le spinte russofobe e militariste di una parte dell’Europa. Ora la Germania si trova di fronte al rischio di una contrazione significativa del proprio apparato industriale, dovendo scontare contemporaneamente un contesto di infrastrutture obsolescenti e un restrittivo vincolo di bilancio introdotto durante la crisi dei subprime.
La prospettiva delineata da Merz non si schioda dal paradigma neoliberale, prevedendo tagli allo stato sociale e alleggerimento dei vincoli per le imprese, ma apre alla revisione del tetto sul deficit, oggi limitato allo 0,35%. Questa modifica costituzionale è però finalizzata all’aumento delle spese militari, forse nell’intento di sostituire la produzione di armi all’automotive come settore trainante.
Più netta la presa di posizione in politica estera, con la rivendicazione di una maggiore autonomia dagli Stati Uniti ed una più chiara assertività tedesca nel guidare l’Unione europea. Quale sarà il nuovo modello tedesco e che futuro viene proposto per l’Ue non è affatto chiaro, se non per il rinvio alle calende greche della transizione ecologica e il consistente incremento delle spese per armamenti.
Merz avrà bisogno del sostegno dell’Spd per formare il suo governo. I socialdemocratici sono in crisi profonda per la perdita di quasi dieci punti percentuali, ma anche per le sconfitte subite nei tradizionali bastioni operai di Wolfsburg (andato alla Cdu) e di Gelsenkirchen (ceduto all’Afd). Non meglio è andata in altre roccaforti come Amburgo (una circoscrizione ceduta ai Verdi) e Chemnitz (anche in questo caso all’Afd). Dopo l’esperienza di governo, Scholz, espressione dell’ala moderata del partito e scelto perché considerato incarnazione di competenza e pragmatismo, non ha saputo dare nessuna risposta al malessere sociale e alle incertezze sulle prospettive economiche. Difficile che rifiuti di andare ad un accordo di governo con la Cdu, anche se cercherà di alzare un po’ il prezzo nelle trattative che dovrebbero chiudersi entro Pasqua. Ma sembra altrettanto difficile che accodarsi al carro di Merz consenta di sollevare le sorti del partito.
Naturalmente il fatto politico più rilevante del voto è il raddoppio dei consensi dell’estrema destra dell’Afd, che ha puntato sulla xenofobia, sulla sfiducia nell’establishment e sulla riabilitazione di una narrazione revanscista e nostalgica. Ha rafforzato il consenso nell’ex Germania orientale, soprattutto nelle aree che si sono andate spopolando dopo la fine della Ddr. Un pezzo di paese che ha subito i riflessi negativi della crisi del modello tedesco, senza nemmeno mai averne realmente goduto i vantaggi. La mobilitazione popolare delle ultime settimane non ha danneggiato significativamente l’Afd sul piano elettorale, ma ha posto apertamente il tema del rifiuto della normalizzazione dell’estrema destra, e ha contribuito ad un significativo aumento della mobilitazione elettorale.
A sinistra la Linke ha vinto nettamente, e inaspettatamente alla luce del voto europeo del giugno scorso, la sfida con il movimento scissionista di Sahra Wagenknecht. Quando sembrava ormai destinata ad un declino irreversibile ha invece intercettato un’ondata di simpatia che ha coinvolto soprattutto i giovani e le donne. La Linke ha puntato sul rilancio del radicamento territoriale con un piano di rafforzamento organizzativo che l’ha portata da 60mila a 90mila iscritti. Ha saputo cogliere il sentimento antifascista espresso in partecipatissime manifestazioni di piazza, e ha anche rilanciato un’identità di forza del cambiamento sociale e della difesa degli interessi della classi popolari. Sul tema dell’immigrazione, a differenza del movimento di Sahra Wagenknecht, escluso dal Bundestag per pochi voti, ha scelto di muoversi coraggiosamente in controtendenza mentre, a differenza della Bsw, è stata molto più cauta sul tema della guerra.