• Categoria dell'articolo:Numero 03 - 2025
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Qualche settimana fa, avevamo parlato della solidarietà dei portuali svedesi verso i palestinesi, attraverso il loro voto ultramaggioritario in favore di un blocco delle spedizioni di armi verso Israele (https://www.sinistrasindacale.it/2025/01/19/i-portuali-svedesi-contro-le-armi-ad-israele-di-l-b/). Ora è diventato un affare di sicurezza nazionale.

Il sindacato svedese dei lavoratori portuali ha votato a larga maggioranza per fermare le esportazioni di armi verso Israele: la volontà era chiaramente di affermare nuovamente la solidarietà internazionale che ha caratterizzato il movimento operaio da sempre. Non è la prima volta che avviene, né in Svezia né altrove. Eppure questo voto e questo atto di solidarietà internazionale è stato pagato a caro prezzo.

Licenziamento e denuncia

Nei giorni scorsi, Erik Helgeson, segretario dei portuali di Goteborg e vice segretario nazionale del sindacato dei portuali, è stato convocato dalla direzione del porto. Dopo una telefonata di convocazione la domenica precedente, il lunedì alle 10 gli è stato comunicato il licenziamento in tronco, a causa delle sue dichiarazioni sulla misura adottata dal sindacato contro le armi ad Israele e per ragioni di “sicurezza nazionale”.

Il lavoratore era ovviamente sconvolto, come potrebbe esserlo chiunque. Ma la solidarietà degli altri lavoratori, del suo sindacato nazionale, così come quella di molti militanti per la Palestina, è stata forte, tanto da obbligare la stampa nazionale a pubblicare anche editoriali a sostegno del lavoratore.

Il clamore ha permesso di gettare un po’ di luce sulla vicenda. I porti svedesi, a quanto si apprende, avevano fatto ricorso contro la decisione del sindacato presso il tribunale del lavoro svedese, il quale, la settimana prima del licenziamento, aveva stabilito che la decisione del sindacato non era contraria all’accordo nazionale dei lavoratori portuali (che regola anche il diritto di azione e di sciopero).

A seguito di questo, però, è successo altro. Le imprese di armi svedesi hanno chiamato la direzione del porto, lamentandosi per la decisione del sindacato e delle conseguenze che può avere. Peggio. Hanno chiamato direttamente il responsabile della sicurezza del porto affermando che la raccolta di dati del sindacato sulla spedizione di armi avrebbe creato un rischio per la sicurezza nazionale della Svezia. E lo stesso hanno fatto le Forze Armate svedesi. Mentre l’Associazione nazionale dei porti svedesi ha affermato di essere scioccata dalla decisione del tribunale svedese riguardo alla libertà dei lavoratori di intraprendere tali azioni.

Così, il lavoratore e vice segretario nazionale del sindacato, oltre ad essere stato licenziato, si è trovato anche con una denuncia per violazione di due leggi che proteggono la sicurezza nazionale della Svezia, fatta direttamente dal suo ex datore di lavoro. La legge cita atti di sabotaggio, di spionaggio, terroristici o altri atti che possano mettere in pericolo la sicurezza della Svezia. L’accusa è che il lavoro di mappatura dei container di armi diretti a Israele fatta dal sindacato per attuare il blocco deciso e votato dai lavoratori potrebbe interessare i servizi segreti di paesi ostili alla Svezia. Ma, come sottolineato dal sindacato, i dati che essi raccolgono sono pubblici. E allora dove sta il problema?

La Nato entra in Svezia

Da qualche mese la Svezia è entrata a fare parte della Nato. Dopo secoli di neutralità internazionale, paventando improbabili invasioni russe del suo territorio e con una parte consistente della popolazione tutt’ora fortemente contraria, il parlamento svedese, con la sola opposizione (piuttosto timida) del Partito di Sinistra e dei Verdi, ha votato l’adesione alla Nato. Già prima c’erano ampie collaborazioni con l’Alleanza Atlantica e con i suoi componenti. Ma da quel momento è la Nato che è ufficialmente entrata in Svezia.

Le conseguenze si vedono chiaramente in questo procedimento contro un lavoratore, ma in realtà indirizzato al suo sindacato. Non saranno più accettate azioni come questa, che erano in sintonia con la neutralità passata, ma che ora sono considerate azioni di sabotaggio e di “intelligenza con il nemico” (sebbene, è bene sottolinearlo, la Svezia non sia in guerra con nessuno attualmente).

Il movimento dei lavoratori deve adeguarsi alle esigenze belliche del paese e non deve intralciare le nuove opportunità affaristiche che si aprono per l’industria militare svedese come conseguenza dell’adesione all’Alleanza.

Per questo esprimiamo la nostra solidarietà al compagno Erik Helgeson, al suo sindacato e a tutti i lavoratori che si battono per la Palestina.