Quando chiedi ad un governo di destra una legge sul salario minimo, questo risponde che non serve una legge ma che dev’essere il sindacato a garantire nella contrattazione l’adeguamento dei salari al costo della vita. Poi, quando vai a rinnovare il contratto per chiedere questi aumenti, sorge “spontaneo” un altro contratto, di un sindacato inesistente, sottoscritto con un’associazione datoriale altrettanto inesistente, pronta ad offrire un’alternativa con meno stipendio, meno diritti e più flessibilità. Funziona proprio così.

Le organizzazioni sindacali confederali avviano un trattativa con la controparte Asstel per il rinnovo del contratto delle telecomunicazioni, un settore in profonda trasformazione strutturale, che tiene assieme tutto il variegato mondo delle Tlc: dai grandi player internazionali della telefonia e della connessione, dal commerciale al tecnico, fino ai contact center o con il terribile nuovo acronimo Crm-Bpo (Customer Relationship Management-Business Process Outsourcing).

Un contratto non facile, viste le ristrutturazioni nei grandi gruppi a partire da Tim, che comunque si pone l’obbiettivo di recuperare l’inflazione con una richiesta di aumento salariale di 260 euro nel triennio. Ma, in epoca meloniana di disintermediazione e destrutturazione delle relazioni sindacali, di accreditamento di qualunque sindacato ai tavoli governativi, di ministri del Lavoro già presidenti dell’Ordine dei Consulenti del lavoro, una soluzione si trova…

Così spunta Assocontact che, assieme all’immancabile sindacato Cisal, noto per rappresentare pochissimi lavoratori ma per prestarsi generosamente ad operazioni di dumping contrattuale, propone un contratto “innovativo” per i contact center in outsourcing per abbandonare il contratto delle telecomunicazioni.

Un’occasione imperdibile per evitare che la contrattazione collettiva possa magari recuperare potere d’acquisto nei salari e ridurre la precarietà aumentando la qualità del lavoro. Un’occasione per tanti imprenditori senza scrupoli né vergogna, anche perché scegliendo quel contratto scelgono anche il sindacato dei lavoratori.

Se Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil chiedono un aumento di 260 euro, la Cisal si propone di firmare per 60 euro, e aggiunge al menù anche il dimezzamento dei permessi personali e dei Rol, tagli alla retribuzione per la malattia e infortunio e alla retribuzione durante la maternità, e un bel blocco agli scatti di aumento per anzianità.

E’ per questo motivo che lunedì 3 febbraio c’è stato lo sciopero dei dipendenti, circa 6mila, di questo settore. Uno sciopero che ha visto una partecipazione massiccia, con punte del 90%. Soprattutto ha visto la presa di posizione di importanti aziende che utilizzano questi servizi, e che già hanno chiarito che non confermeranno come fornitori le ditte che applicassero questo contratto. Stiamo parlando infatti di un settore che – è bene ricordarlo – rappresenta spesso l’interfaccia con l’utenza e con i cittadini di servizi dell’energia piuttosto che di assicurazioni, multiutility, commercio e che, su una strada di questo tipo, rischierebbe di aprire una corsa al ribasso senza fine.

Con l’avvento delle nuove tecnologie, come l’Intelligenza artificiale, se non vuole soccombere questo tipo di servizi deve puntare sulla qualità dell’apporto umano, investendo in formazione e qualità del lavoro per fare la differenza nel rapporto con i consumatori. Invece il tentativo è sempre quello di cercare scorciatoie.

Il ricorso a “contratti pirata” è una pratica che va diffondendosi, alimentata da una certa predisposizione dell’attuale esecutivo a favorire sindacati amici (quando non li trovano, favorendone nascita e diffusione), scegliere accordi separati, dividere il fronte sindacale, favorire la disintermediazione. Questa evidente strategia chiede alla Cgil uno sforzo più intenso nel cercare di ricostruire una unità del lavoro frammentato, una contrattazione inclusiva che dia protezione ai livelli più deboli della disarticolata organizzazione del lavoro.

Quando un’azienda disdetta un contratto per sceglierne uno di comodo, con lo scopo nemmeno tanto velato di ridurre diritti e salario o di escludere un sindacato scomodo, non ci resta che raddoppiare gli sforzi per rimanere in quella azienda, tutelare e organizzare quei lavoratori anche fuori dai confini delle tutele contrattuali che ci vengono sottratte. Non rinunciamo a rappresentare e difendere i lavoratori, anche in un contratto che non riconosciamo!

Una sfida in salita per la Cgil in questi tempi bui, che ci costringe a ritrovare lo spirito originario dell’impegno sindacale, fuori dalla “comfort zone” di relazioni sindacali garantite, partendo dalle lotte, dalla rivendicazione dei diritti, dalla pratica del conflitto, costruendo una relazione genuina con lavoratrici e lavoratori, un rapporto trasparente e diretto di rappresentanza collettiva. Per farlo dobbiamo recuperare credibilità tra i lavoratori, renderli nuovamente protagonisti dell’essere sindacato, innovare strumenti e pratiche di lotta.

In un’epoca di contratti pirata, dobbiamo essere un sindacato “corsaro”.