Il mondo del frontalierato con la Svizzera sta vivendo un momento di grande mobilitazione. Sono 92.792 le lavoratrici e i lavoratori italiani (dato dell’ufficio di statistica della Confederazione del terzo trimestre 2024) che quotidianamente varcano il confine dei tre cantoni viciniori: Ticino, Grigioni e Vallese. Una massa di persone che, a partire dal 2023, ha visto interessare le proprie condizioni di lavoro da numerosi interventi legislativi.

Ci riferiamo, in primo luogo, al nuovo Accordo Internazionale tra Italia e Svizzera che ha mandato in pensione le precedenti intese del 1974. Un testo di natura fiscale che ha previsto, per la prima volta, l’imponibilità dei frontalieri nel nostro Stato. Le organizzazioni sindacali italo svizzere, ed i propri organismi di coordinamento, hanno giocato un ruolo fondamentale per moderare gli effetti negativi del nuovo Accordo, foriero di un doppio regime economico. A latere dell’accordo si sono affrontate numerose criticità che per troppo tempo hanno scontato l’assenza di risposte politiche.

In epoca Covid si è, ad esempio, allargato a macchia d’olio il ricorso al telelavoro, con potenziali e gravose ricadute sui trattamenti fiscali e previdenziali delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti. C’è da rammentare che la peculiarità del frontalierato è unica nel panorama occupazionale. Le fonti normative comunitarie si devono leggere in simbiosi con gli accordi bilaterali tra Italia e Svizzera e la normativa nazionale. Un compito non semplice che cagiona spesso dubbi interpretativi. In questo senso è da intendersi la battaglia della Cgil, che da anni propugna la necessità di addivenire allo Statuto del lavoratore frontaliere, con l’ambizione di contenere in esso il riconoscimento giuridico e politico di una figura atipica.

Gli ultimi due anni hanno portato agli onori delle cronache una rinnovata vitalità del percorso di rappresentanza sindacale dei frontalieri. La scorsa primavera si è tenuta, a Como, la prima manifestazione internazionale dei lavoratori oltre confine. Analoga iniziativa si è ripetuta il 15 febbraio scorso, a Varese. Il tema che coagula le forze in campo è originato dall’iniziativa del governo Meloni, che, nella finanziaria varata nel 2023, ha inserito a carico dei “vecchi frontalieri” la cosiddetta tassa della salute: un prelievo forzoso dalle retribuzione dei lavoratori per finanziare il salario accessorio del personale sanitario delle aree di confine.

L’operazione politica, voluta prioritariamente dalla Regione Lombardia e dai sindacati corporativi delle professioni sanitarie, ha prodotto un obbrobrio giuridico. Tale norma, ad oggi inapplicata a causa del mancato passaggio legislativo nelle Regioni interessate, integra la violazione di norme comunitarie e costituzionali. Nega infatti l’unicità regolamentare degli accordi fiscali internazionali (ponendo di fatto una doppia tassazione), e priva un nucleo significativo di persone del libero e gratuito accesso all’universalità del sistema sanitario nazionale.

Altresì, ciò che ripugna, è la negazione di responsabilità del governo nazionale e di Regione Lombardia nella distruzione del sistema sanitario nazionale e lombardo. L’assunto che ha mosso il legislatore risponde al seguente teorema: finanziamo il salario accessorio delle professioni sanitarie di confine, con un prelievo dalle retribuzioni dei frontalieri, per disincentivare la fuga di medici ed infermieri verso il canton Ticino.

Questa operazione cancella con un colpo di spugna, come si diceva poc’anzi, le responsabilità politiche di chi ha limitato la sanità pubblica, soprattutto in Lombardia, al ruolo di povera ancella dello strapotere della sanità privata. La devastazione degli ospedali pubblici lombardi, l’assenza totale di una rete territoriale e di una risposta nell’emergenza e urgenza, è sotto gli occhi di tutti.

Mobilitare le lavoratrici ed i lavoratori frontalieri, pur con le difficoltà di rappresentanza di un corpo sociale che opera in un altro Stato, implica una risposta squisitamente politica a due grosse tematiche: l’affermazione di diritti in un ambito bivalente come quello del frontalierato, insieme alla battaglia di civiltà per la ripresa di centralità, nel dibattito pubblico, del Sistema sanitario nazionale. Ciò ci dà l’opportunità di ribadire la permeabilità delle frontiere, luogo di passaggio e migrazione sia essa lavorativa, che economica, che umanitaria. Una risposta a chi, fuori dal tempo, cerca di ergere muri per impedire processi di riequilibrio socio-politico.