Il Rapporto Oxfam “Disuguaglianza: povertà ingiusta e ricchezza immeritata”.

Lo scatto sul mondo, proposto nel rapporto annuale di Oxfam (“Disuguaglianza: povertà ingiusta e ricchezza immeritata” disponibile su www.oxfam.it/report-disuguaglianza), restituisce l’immagine di società attraversate da faglie profonde e di una realtà piena di contraddizioni che generano smarrimento, sgomento, talvolta senso di impotenza.

Assistiamo, sgomenti, a conflitti cruenti e all’avanzare, sullo scacchiere internazionale, di una pericolosa deriva incardinata sulla pretesa di riconoscimento della dignità solo ai forti. Una pretesa che si pone in antitesi con il diritto, costruito nei secoli, che tutela i deboli e pone il rispetto alla base della pace.

Assistiamo, preoccupati, agli impatti nefasti del cambiamento climatico e agli imperdonabili ritardi della politica sul cammino di una transizione ecologica giusta, capace di ridurre l’impatto dell’attività umana sul pianeta, senza lasciare indietro nessuno.

Miliardi di persone restano intrappolate in una vita di stenti, senza accesso a una dieta sana e a servizi igienici di base, in una quotidianità che non ha minimamente i tratti di un’esistenza dignitosa. Riportarli sopra la soglia più nota (tutto fuorché adeguata) di povertà estrema entro il 2030 – impegno assunto 10 anni fa dalla comunità internazionale – è oggi un effimero miraggio.

L’aumento della precarizzazione economica di ampie fasce della popolazione globale e le crescenti disuguaglianze – problemi gravi che preoccupano i cittadini – costituiscono il risvolto di un sistema economico poco dinamico e incapace di generare benessere per tutti. Un sistema iniquo che premia i più abbienti e spreme sempre di più il resto della società. Un sistema “estrattivo” che ha tratti neo-coloniali nelle relazioni economiche tra il Nord avanzato ed il Sud globale. Un sistema che si legittima con una potente narrazione che dà una veste morale alle disparità, snaturando il concetto di ‘merito’, molto radicato nel senso comune, e facendo assurgere la meritocrazia a principio ordinatore di una società giusta.
A ben vedere, larga parte della ricchezza estrema è difficilmente ascrivibile a meriti individuali, ma riconducibile ad eredità (per il 63% in Italia), a sistemi di relazioni clientelari con la politica, e all’immenso potere di mercato esercitato dalle imprese che i super-ricchi controllano o dirigono. Fattori – come vantaggi ingiustificabili o regole del gioco inique – di cui la meritocrazia si disinteressa del tutto.

Politiche pubbliche ancorate a discutibili criteri di ‘meritevolezza’ feriscono il diritto all’uguaglianza, ponendosi in stridente contrasto, nel contesto italiano, con le prescrizioni costituzionali alla rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale, lesivi dei diritti delle persone e della loro piena realizzazione, senza distinzioni. Ne sono un triste esempio le misure categoriali di contrasto alla povertà che stabiliscono in modo profondamente ingiusto chi, trovandosi in condizione di disagio economico, sia ‘meritevole’ o meno di supporto pubblico. O le politiche fiscali che, in palese violazione del contratto sociale, offrono migliori condizioni di trattamento a chi ha maggiore potere o il “merito” di appartenere all’elettorato di riferimento di chi governa il Paese. O le politiche del lavoro che, trascurando l’apporto dei lavoratori alla creazione di valore (avranno un qualche ‘merito’?), ne indeboliscono il potere contrattuale e le tutele. O, ancora, le politiche di decentramento, basate sull’idea che i territori più ricchi, in quanto tali, abbiano diritto (“meritino”?) a maggiori servizi.

Le disuguaglianze non sono né casuali né ineluttabili. Sono il risultato di scelte politiche che hanno prodotto negli ultimi decenni profondi mutamenti nella distribuzione di risorse, dotazioni, opportunità e potere tra i cittadini.
Cambiare rotta è un imperativo categorico, sebbene l’attuale contesto politico renda il compito impervio. Un contesto caratterizzato dal radicamento di proposte politiche – dagli Stati Uniti a tanti Paesi europei, tra cui l’Italia – che cercano consenso creando artificiali contrapposizioni tra gli emarginati, accentuando paure, insicurezze e tensioni nella società. Una strategia che, puntando al soddisfacimento di obiettivi di identità, permette di tenere (quanto a lungo?) in secondo piano il mancato raggiungimento di risultati economico-sociali a beneficio dei più vulnerabili, mentre persegue politiche che avvantaggiano chi è già in posizione di privilegio.

Un pessimo viatico per un’economia più inclusiva e società più dinamiche ed eque, cui va con urgenza contrapposto un sussulto politico per l’uguaglianza. Nel nome di un futuro più giusto per tutti.