Dietro il luccichio dei palcoscenici, di cui Milano è nota per la presenza di teatri famosi in tutto il mondo, capita di scoprire una realtà che non mostra la stessa brillantezza.
Alla schiera di lavoratrici e lavoratori della produzione culturale poco tutelati appartengono anche quanti consentono al teatro di aprire e allo spettacolo di andare in scena, le cosiddette “maschere”, o personale di sala, in particolare quelli in appalto, assunti da una cooperativa o da una società esterna per lavorare nei teatri.
Il commissariamento della Cooperativa Fema disposto dalla procura di Milano ha favorito lo smascheramento di un modus operandi diffuso, che non riguarda solo la cooperativa in questione. La Slc Cgil di Milano stava già lavorando per contrastare la condizione di sfruttamento denunciata da decine di “maschere” di diverse istituzioni culturali. Le loro doglianze non riguardano soltanto il salario, con una paga oraria ben lontana dai minimi dei dipendenti diretti dei teatri, ma più in generale la loro condizione lavorativa.
Le loro mansioni consistono, normalmente, nel controllo dei biglietti e nell’assistenza del cliente in sala, prima, durante e alla fine dello spettacolo. Il loro stipendio si assesta tra i 5 e i 7 euro lordi all’ora. Niente malattia, niente ferie. Un lavoro a chiamata senza obbligo di risposta, né indennità di disponibilità. Nei casi più “fortunati” il Ccnl è quello dei Servizi fiduciari, ahimè firmato anche dalla Filcams Cgil. In altri casi hanno contratti “pirata” firmati solo da Ugl. In alcune realtà viene chiesto loro di garantire un certo numero di giorni disponibili a settimana, sebbene poi sia la cooperativa o la società a scegliere chi chiamare.
Raccontano di non potersi ammalare per più di una volta o prendere ferie continuative in determinati periodi, pena il rischio di non essere più chiamati per parecchio tempo o di essere sospesi verbalmente (sostanzialmente licenziati), con la scusa del “mancato gradimento” da parte del cliente/committente. Il meccanismo è il seguente: a svolgere quella mansione sono in tanti, vengono usati a giro, così il risparmio è maggiore rispetto ad avere meno dipendenti che lavorano di più ma con un contratto regolare. Capita spesso di saltare le pause e il riposo giornaliero delle 11 ore tra una prestazione e l’altra.
I capi maschera hanno grandi responsabilità anche riguardo alla sicurezza. Sostituendosi spesso al direttore di sala, fungono da preposti alla sicurezza durante lo spettacolo, pur non avendone le competenze, né l’inquadramento e la retribuzione. Ma tutte le maschere potrebbero trovarsi in situazioni impreviste o anche pericolose, per le quali spesso non hanno ricevuto un’adeguata formazione. Alcuni non hanno svolto i corsi sulla sicurezza, obbligatori per legge!
A volte subiscono una duplice pressione: quella dei colleghi loro “responsabili”, che gli stanno addosso, e quella dei responsabili di sala, dipendenti del teatro.
E’ vero, si tratta sovente di studenti universitari. Sostanzialmente per questo motivo la situazione non è emersa in modo chiaro fino ad ora. Innanzitutto per la loro maggiore ricattabilità dovuta alla giovane età e mancanza di esperienza, con una minore conoscenza dei propri diritti. Il secondo ostacolo, purtroppo, è l’opinione, diffusa anche tra altri lavoratori e lavoratrici, e a volte tra le rappresentanze sindacali, secondo cui quello della “maschera” non è un vero lavoro, ma spesso un modo per procurarsi una mancetta tra un esame e l’altro o un lavoro e l’altro.
La Slc di Milano, al contrario, ha scoperto un mondo nel quale soprattutto giovani e giovanissimi stanno maturando la consapevolezza di essere sfruttati e chiedono il diritto a condizioni di lavoro dignitose: stanno lavorando, non si stanno divertendo. Non sarà il lavoro della vita, ma non è un motivo per accettare condizioni che violano anche il dettato costituzionale, specialmente l’articolo 36.
La loro richiesta non è, per lo più, quella di lavorare di più o con orari regolari. Spesso non è l’intermittenza a venir contestata, ma le condizioni citate e il trattamento economico generale. Dovrebbe essere garantito loro un trattamento non inferiore a quello dei dipendenti del committente, il teatro presso cui lavorano. Utile riferimento l’accordo sul lavoro intermittente e sulle maschere con il Teatro alla Scala di Milano a giugno 2024, che prevede tra l’altro la durata di un anno del primo contratto e il rinnovo di anno in anno, fino a conclusione del ciclo di studi.
Consapevoli dei problemi di sostenibilità economica di tante realtà culturali, abbiamo sempre ribadito che le istituzioni culturali dovrebbero essere finanziate di più e con criteri diversi, quali quello della buona occupazione. Ma il problema dei finanziamenti non può ricadere sulla pelle di lavoratori e lavoratrici.
Continuiamo a batterci, in una logica di sito e filiera e in sinergia con le altre categorie della Cgil per la parità di condizioni, per l’applicazione del giusto contratto e contro ogni appalto al massimo ribasso, perché non ci siano lavoratori di serie A e serie B.