Siamo ancora in attesa che la Corte Costituzionale depositi la sentenza con la quale ha impedito la celebrazione del referendum, richiesto da un milione e 291mila cittadine e cittadini, per l’abrogazione integrale della legge Calderoli sulla autonomia differenziata. E siamo curiosi di leggerla per una valutazione più accurata e articolata. Ma in base allo scarno comunicato emesso dalla Consulta, ed a quanto ha affermato il neo presidente Giovanni Amoruso in una successiva conferenza stampa, si può già concludere che siamo di fronte ad una pessima sentenza.
I motivi della negazione della consultazione referendaria che fin qui sono stati spiegati si possono riassumere in due questioni. La prima riguarderebbe, secondo Amoruso, la “non chiarezza del quesito” perché la legge Calderoli sarebbe stata ridimensionata dalla sentenza della stessa Consulta 192/2024 e che “ciò che residuava era difficilmente comprensibile dall’elettore”. Ma una simile decisione, al di là della sua fondatezza – che non c’è – spettava alla Corte di Cassazione la quale aveva già considerato il quesito idoneo, senza possibilità che tale decisione potesse essere rivista. Invece la Consulta ha capovolto il giudizio della Cassazione, ciò che non è in suo potere fare.
La seconda questione, stando al comunicato, concerne il fatto che i cittadini sarebbero stati surrettiziamente chiamati ad esprimersi sull’articolo 116 terzo comma della Costituzione. Ma questo è smentito dalla semplice analisi di quanto avvenuto fin qui, dal momento che già gli articoli del Titolo V della Costituzione, sciaguratamente introdotti nel 2001, erano stati usati dai governi Gentiloni e Conte 1 per attivare le intese con le Regioni del nord, prima ancora che comparisse la legge Calderoli. Pertanto anche abrogando quest’ultima non si sarebbe toccato in nessun punto il testo costituzionale.
Appare quindi chiaro che la decisione della Consulta non solo si inserisce in una linea giurisprudenziale che negli ultimi anni ha teso a limitare l’esercizio dello strumento di democrazia diretta, il referendum, piuttosto che a valorizzarlo, ma rappresenta oggi un gentile regalo al governo in carica, togliendolo dai rischi di un confronto referendario che avrebbe potuto mettere in discussione la sua stessa esistenza.
Mi rendo conto della gravità del giudizio che sto esprimendo, ma sarebbe pura ipocrisia tacerlo. Anche perché ciò che dobbiamo ora fare dipende da come consideriamo l’accaduto.
La sentenza 192/2024, indicando i numerosi punti di incostituzionalità della legge Calderoli, ha rappresentato indubbiamente un passo in avanti. Ed è stato quindi giusto spingere le Regioni a un ricorso diretto alla Consulta. Ma è stata una vittoria parziale, poiché l’impianto della legge Calderoli è rimasto in piedi e solo un referendum avrebbe potuto cancellarla. Ora, si dice, dovrà intervenire il Parlamento sulla scorta delle indicazioni della Corte. Ma non credo ci si possa fidare, visti i rapporti di forza che una iniqua legge elettorale ha tracciato nelle aule parlamentari. D’altro canto Calderoli e seguaci hanno già dichiarato che intendono procedere subito alle intese con le Regioni. E queste non potranno essere modificate dal Parlamento, né essere oggetto di referendum abrogativo, essendo “leggi rinforzate”.
Quindi che fare? Innanzitutto bisognerà sostenere con forza ancora più determinata la campagna sugli altri referendum, quelli sociali promossi dalla Cgil e quello sulla cittadinanza, proprio perché l’assenza del traino del referendum sulla Calderoli mette a serio rischio il raggiungimento del quorum sugli altri quattro quesiti. In questo senso la sentenza della Consulta sul quesito contro la Calderoli costituisce anche un voluto indebolimento della possibilità di successo per gli altri referendum che non potevano essere interdetti.
Sarà necessario, nelle forme dovute – visto che il comitato promotore per il referendum sulla autonomia differenziata non ha più ragione di stare in piedi, per mancanza dell’‘ubi consistam’ – cioè con un raccordo organizzato tra parlamentari dell’opposizione, membri di consigli regionali e comunali e forze sindacali e sociali, vigilare affinché quanto deciso dalla Consulta venga attuato dal Parlamento, modificando sostanzialmente la legge in questione.
Allo stesso tempo sarebbe opportuno che in Parlamento si presentino proposte di legge di cancellazione o di integrale rovesciamento degli obiettivi parasecessionisti della legge Calderoli.
Ma tutto questo potrebbe non bastare. Per cui non dobbiamo abbandonare la possibilità di usare ancora lo strumento referendario, visto che la Lega intende proseguire da subito l’iter per le intese con le Regioni, e considerato che l’orientamento prevalente nelle aule parlamentari non è certo favorevole alla difesa dello spirito della Costituzione. La recente sentenza della Consulta non chiude la partita né a livello istituzionale, né tanto meno a livello sociale.
(Roma, 29 gennaio 2025)