La firma di Israele e Hamas in Qatar, per un cessate il fuoco e la liberazione di ostaggi israeliani e detenuti palestinesi, è arrivata dopo 15 mesi di bombardamenti che hanno distrutto Gaza, tolto la vita a un numero terrificante di palestinesi (47mila quelli “ufficiali”) tra i quali migliaia di minori, il ferimento di 100mila persone, e con lo sfollamento di oltre due milioni di civili che in questo lasso di tempo sono sopravvissuti in condizioni indicibili.
Una tregua, invocata a più riprese fin dall’inizio dei bombardamenti israeliani, che nel giudizio dei diplomatici, degli analisti e degli osservatori sul campo non è altro che una soluzione temporanea. Perché la pace è ancora lontana, prova ne è che l’accordo per il cessate il fuoco era sul tavolo dei negoziati già da otto mesi, senza arrivare in tutto questo tempo ad alcun risultato, moltiplicando così il numero delle vittime, le condizioni di estrema sofferenza dei sopravvissuti, le devastazioni di un intero territorio.
“In otto mesi la brutalità senza precedenti dell’offensiva israeliana ha reso Gaza un luogo inabitabile – osserva Chiara Cruciati su il manifesto – questo non significa solo costringere i sopravvissuti a decenni di pulizia, rimozione delle macerie, ricostruzione delle infrastrutture e delle reti sociali, politiche ed economiche, superamento del trauma individuale e collettivo. Significa anche imporre condizioni di vita talmente insopportabili da convincere una porzione di popolazione ad andarsene. Chi resterà, la grande maggioranza, vivrà in uno spazio inquinato e deturpato, costretto a concentrarsi sul reperimento di beni essenziali alla sopravvivenza. È il ritorno all’età della pietra, come evocato più volte da alti esponenti delle forze armate israeliane, in questa come nelle offensive precedenti”.
Un tregua che dunque non nasconde la perdurante assenza di una soluzione politica, l’unica che possa portare alla pace.