Quando, nella seduta del 9 dicembre 1974, l’Assemblea generale dell’Onu fu chiamata a votare il testo della risoluzione 3263 che mirava a fare del Medio Oriente un’area libera da armi nucleari, nessuno si aspettava che ricevesse un consenso così vasto.

Su 138 nazioni presenti in quella assemblea, 128 votarono a favore, 8 non votarono e 2 si astennero (Israele e Burma). Tra i favorevoli c’erano i membri del consiglio di sicurezza Onu (nonché potenze nucleari: Usa, Cina, Urss, Francia e Inghilterra) e la totalità dei paesi europei, tutti visibilmente preoccupati che la situazione del Medio Oriente potesse degenerare ulteriormente, con l’introduzione di armi nucleari da parte di un paese dell’area. Pur senza nominarlo, il riferimento era indirizzato soprattutto ad Israele le cui attività in campo nucleare – per quanto tenute segrete – facevano ritenere che lo stato ebraico fosse dotato di un certo numero di testate nucleari.

Per altri quarantaquattro anni la massima assise dell’Onu ha emesso il medesimo pronunciamento senza mai riuscire a finalizzarlo, fino a quando, nel 2018, ha deliberato l’istituzione di una Conferenza permanente avente per obiettivo la stesura di un trattato vincolante per fare del Medio Oriente un’area libera, oltre che dalle armi nucleari, anche da tutte le altre armi di distruzione di massa. La risoluzione è passata con 88 voti a favore, 4 contrari e ben 75 astensioni. Oltre agli Stati arabi e moltissimi altri paesi, hanno votato a favore Cina e Russia, mentre i paesi europei, Italia compresa, si sono astenuti e i contrari sono stati Israele, Stati Uniti, Liberia e Micronesia.

Lo scarto esistente tra la votazione del 1974 e quella del 2018 è indicativo di quanto l’Europa e gli Usa abbiano via via abbandonato ogni intenzione pacificatrice, o quantomeno mediatrice, nei riguardi del Medio Oriente, privilegiando la difesa a oltranza del ruolo e degli interessi di Israele in quell’area. Ciò è tanto più evidente se si tiene conto che, mentre l’idea originaria di istituire in Medio Oiente una ‘nuclear free zone’ era rivolta soprattutto a disinnescare la minaccia rappresentata dall’arsenale nucleare di Israele, quella della vigente Conferenza intende azzerare tutte le armi di distruzione di massa, ed è quindi rivolta anche a quei paesi arabi che detengono armi chimiche o biologiche e non hanno ancora ratificato i relativi trattati, come è il caso dell’Egitto e dello stesso Israele, mentre la Siria (che ha ratificato il trattato sulle armi chimiche nel 2013, ma non quello sulle armi biologiche) non ha ancora smantellato del tutto il suo arsenale chimico.

L’Atomica di Israele tra segreti e menzogne

La storia dell’atomica israeliana, la cui più attendibile ricostruzione è quella fatta da Avner Cohen (Israel and the bomb, Columbia University Press,1998), ha inizio a metà degli anni ‘50 del secolo scorso, e i suoi principali artefici sono David Ben Gurion e Shimon Peres, rispettivamente primo ministro di Israele e direttore generale del ministero della Difesa all’epoca dei fatti.

Dopo un iniziale tentativo (andato a vuoto) per ottenere dagli Usa un reattore nucleare ad uranio naturale e acqua pesante, Israele si rivolse alla Francia che in quel momento incontrava grosse difficoltà con il mondo arabo, stante i contrasti con Nasser riguardo alla nazionalizzazione del Canale di Suez (di cui la Francia era comproprietaria), e al sostegno che l’Egitto forniva alla guerra di liberazione in Algeria.

Come contropartita alla partecipazione di Israele alla mini guerra di Suez (che nel 1956 occupò la penisola del Sinai), l’anno successivo fu stipulato l’accordo di cooperazione tra Iaec (Israeli Atomic Energy Commission) e Cea (Commissione atomica francese), per realizzare un reattore ad acqua pesante e uranio naturale a Dimona (deserto del Negev), in grado di fornire da 30 a 40 chilogrammi di plutonio/anno. Da allora in poi, pur di venire in possesso dei materiali strategici necessari alla sua realizzazione e di nascondere agli occhi del mondo i veri scopi di questo progetto, il governo israeliano non si è fatto scrupolo di ricorrere alla menzogna e all’illegalità.

Nel 1959, attraverso una triangolazione tra Norvegia e Regno Unito, Israele venne in possesso di 20 tonnellate di acqua pesante, cosa che – per quanto tenuta segreta – suscitò l’attenzione dell’amministrazione Usa e della Cia, che nel 1960 redasse un primo rapporto sul progetto Dimona confermandone le finalità militari. Pochi giorni dopo, in una storica seduta del Parlamento israeliano, Ben Gurion dichiarava che Dimona aveva solo scopi pacifici, ma nello stesso tempo rifiutava qualsiasi ispezione dell’Iaea (Agenzia internazionale per l’energia atomica). Questa menzogna fu riferita tal quale da Ben Gurion a Kennedy nell’incontro tenuto fra loro nel 1961.

Nel 1963 fu la volta di Shimon Peres, nella veste di vice ministro degli Esteri, a mentire a Kennedy assicurandogli che Israele non aveva intenzione di introdurre armi atomiche in Medio Oriente e che, in ogni caso, non sarebbe stato il primo paese a farlo.

Gli anni ‘60-‘70 sono anni di vere e proprie “scorrerie nucleari”. Nel biennio1963-64 Israele acquista segretamente 80 tonnellate di uranio naturale dall’Argentina. Nel 1965 l’Aec (Atomic Energy Commission degli Usa) rivela che 270 chilogrammi di uranio arricchito al 93% sono stati sottratti alla Società Numec con sede in Pennsylvania. Successivamente si scoprirà che l’uranio era destinato a Israele. Nel 1968 il mercantile liberiano Scheersberg A. parte da Anversa diretto a Genova con un carico di 200 tonnellate di triossido di uranio proveniente dallo Zaire, ma invece di arrivare nel porto italiano giungerà a Iskederum (Turchia) senza carico a bordo. Le inchieste successive scoprirono che il mercantile era stato acquistato da una società legata al Mossad e che l’uranio era stato trasbordato su altri battelli e portato in Israele.

Nel 1974 un secondo rapporto Cia attribuisce ad Israele il possesso di varie testate nucleari, mentre nel 1977 il Sudafrica dell’Apartheid cede ad Israele 700 tonnellate di uranio naturale in cambio di 30 grammi di Trizio che serve per le bombe termonucleari.

Infine, nel 1986 il Sunday Times pubblicò un lungo articolo che descriveva le reali potenzialità e finalità del progetto Dimona. A fornire queste notizie, corredate da numerose fotografie, fu Mordechai Vanunu, un tecnico che aveva lavorato a Dimona dal 1976 al 1985. Vanunu rese noto al mondo che l’impianto di Dimona non era costituito solo da un reattore nucleare, ma da un complesso di laboratori e impianti destinati a fabbricare bombe nucleari. Vanunu, una volta indotto da un agente segreto a lasciare Londra per recarsi in Italia, fu rapito a Roma dal Mossad e trasferito in Israele, dove fu processato e condannato a 18 anni di carcere.

Un piccolo ma concreto passo sulla via del disarmo

Ancora oggi, nonostante i tentativi fatti in sede Onu, non è possibile quantificare la reale consistenza delle armi chimiche, biologiche e nucleari presenti in Medio Oriente. A ciò si oppongono vari fattori, non ultimo quello del rifiuto di Egitto, Israele e Siria ad aderire ai trattati internazionali che vietano queste armi. Particolarmente ostile risulta l’atteggiamento di Israele, che oltre a non aver ratificato il trattato sulle armi chimiche non ha mai aderito al trattato di non proliferazione nucleare, e non ha mai consentito a sottoporsi alle ispezioni Iaea.

Malgrado ciò, gli Stati Uniti e la totalità dei paesi europei mostrano di avallare questo atteggiamento, i primi votando contro (insieme ad Israele) la Conferenza permanente Onu che intende eliminare ogni arma di distruzione di massa dal Medio Oriente, gli altri astenendosi.

Alla luce degli avvenimenti odierni in Medio Oriente, l’astensione dell’Italia e degli altri paesi europei suona vieppiù come un avallo alla politica espansionista e genocidaria di Israele il cui primo ministro, dopo aver definito l’assemblea dell’Onu una palude antisemita, ha minacciato tutti i paesi dell’area con queste parole: “Non c’è posto in Iran che il lungo braccio di Israele non possa raggiungere, e questo è vero per l’intero Medio Oriente”.

Di fronte a questa escalation che rischia di evolvere in un conflitto generalizzato, non ci si può né rassegnare né astenere, come finora ha fatto anche il nostro paese.

“Chiediamo al governo italiano di modificare il suo voto in sede Onu, dichiarandosi favorevole ad un Medio Oriente libero da ogni arma di distruzione di massa, e di adoperarsi in sede europea affinché altri paesi prendano la medesima decisione”. È questa la petizione, già inoltrata alle massime cariche dello Stato e del governo, su cui le venticinque associazioni firmatarie intendono promuovere una campagna di informazione e sottoscrizione, in previsione della prossima sessione della Conferenza Onu che si terrà nel 2025.

Per adesioni e informazioni scrivere a:

emanuela.bavazzano@gmail.com

gio.ferrarino44@gmail.com