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Il Rapporto Draghi chiamato “Il futuro della competitività europea” è un tentativo delle élite europee di rispondere alle sfide poste al nostro continente dalla bassa crescita causata dal rallentamento della produttività. Una simile tendenza negli ultimi anni ha acuito il divario con gli Usa, mentre la Cina ha iniziato a recuperare terreno rispetto all’Europa.
Per Draghi questa situazione viene aggravata dal venire meno di tre condizioni esterne favorevoli all’Europa: una rapida crescita del commercio mondiale con relativo minore accesso ai mercati esteri per le imprese europee, la perdita della Russia come principale fornitore d’energia del continente, e la spinta degli Usa affinché gli europei inizino a spendere le proprie risorse per la difesa.
Per Draghi la priorità deve essere aumentare la produttività e rafforzare la nostra sicurezza, con l’intento di preservare i punti di forza del modello economico europeo mentre si raggiungono obiettivi come alta inclusione sociale, abbattimento delle emissioni di Co2 e una maggiore rilevanza geopolitica.
I tre punti alla base del rilancio dell’Ue devono essere una crescita basata sull’innovazione per poter colmare il gap con Cina e Usa su questo fronte, riduzione dei prezzi elevati dell’energia elettrica e del gas mentre si procede con la decarbonizzazione della nostra economia, e riduzione delle dipendenze ormai diventate vulnerabilità in uno scenario geopolitico altamente instabile, che per essere affrontato ha bisogno di una politica estera e di difesa europee.
Inoltre Draghi spinge per un maggior coordinamento tra gli Stati membri sul fronte degli strumenti finanziari e delle politiche fiscali, commerciali ed economiche estere, con l’obiettivo di evitare duplicazioni o standard incompatibili imitando Usa e Cina.
Simili obiettivi hanno bisogno di sfidare l’austerità europea e infatti vengono proposti investimenti da circa 800 miliardi di euro l’anno da sbloccare sia attraverso la mano pubblica – Draghi propone l’emissione di debito comune sulla base del modello Ngeu – che tramite incentivi fiscali ai privati. Un simile piano deve essere accompagnato da riforme istituzionali finalizzate all’estensione della regola della maggioranza qualificata vigente nelle votazioni del Consiglio al maggior numero di settori.
Ovviamente questo rapporto non è tutto rosa e fiori e non può diventare acriticamente l’agenda politica della sinistra europea. Le proposte di Draghi sono in aperta contraddizione con il ritorno dell’austerità imposto dal nuovo Patto di stabilità e crescita, che sta portando il governo Meloni a programmare pesanti tagli alla spesa sociale anche nell’ottica di un aumento delle spese militari. Simili regole limitano le possibilità di finanziamento delle proposte di Draghi, perché nuovo debito pubblico non si può fare, il debito comune europeo non è accettato dalla Germania, mentre nuove tasse rischiano di essere scaricate solo sulle spalle dei redditi medio-bassi perché le aliquote dei redditi elevati sono in calo da decenni anche in Europa. Mentre le nazioni europee mettono in moto politiche di dumping fiscale coerenti con l’idea che vede al momento l’Europa più un mercato comune, dove ognuno cerca di prendere quanto più possibile dando il meno possibile, che l’orizzonte minimo per conquistare una propria autonomia in un mondo sempre più instabile.
Davanti ad un simile scenario la sinistra deve essere in grado di fare due cose: accettare la sfida proposta da Draghi, e proporre una sua visione alternativa. Quella di Draghi è tipica di un tecnocrate favorevole al mercato, che non spiega in alcun modo come la ricchezza prodotta dal suo piano poi si trasformerà in benessere per gli europei o in un rafforzamento del welfare.
Il rapporto Draghi è un campo di battaglia per una sinistra europea consapevole che fuori da questa dimensione continentale non c’è alcuna possibilità di incidere realmente sulla vita dei lavoratori e risolvere i loro problemi. Per fare ciò dobbiamo evitare le trappole del keynesismo privatizzato di cui parla Riccardo Bellofiore e che è stato già implementato attraverso programmi come il Next Generation Eu, il quale prova a rilanciare l’economia europea senza affrontare realmente le cause profonde della crisi del nostro continente. La sua razionalità resta legata a criteri capitalistici, con il lavoro sempre più frammentato, il ruolo dello Stato ridotto a un mero facilitatore di investimenti privati, e la questione ambientale relegata a una posizione marginale.
A noi serve un keynesismo sociale, orientato non solo a rilanciare la domanda aggregata ma anche a ridefinire la struttura produttiva da abbinare, parallelamente, ad una transizione verso un’Europa federale, capace di superare le divisioni nazionali e costruire un sistema integrato di redistribuzione e investimento. Il rapporto di Mario Draghi rilancia questa sfida vitale per il movimento operaio europeo.